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La Federal Reserve ha deciso di mantenere invariati i tassi di interesse, confermandoli nel range compreso tra il 4,25% e il 4,50%, in linea con le attese degli analisti e dei mercati. Una scelta che riflette il delicato equilibrio che la banca centrale statunitense deve mantenere tra la lotta all’inflazione e il rischio crescente di un rallentamento dell’economia e dell’occupazione.
Powell ribadisce indipendenza dalla politica
Per la terza riunione consecutiva, la banca centrale americana ha deciso dunque di mantenere la sua posizione, mettendo in guardia sui crescenti rischi per l’economia. Il dito è puntato verso i dazi voluti da Trump, che possono alimentare nuove pressioni inflazionistiche e, al tempo stesso, danneggiare la crescita economica.
Tutto questo spinge la Fed a rimanere prudente, nonostante le pressioni sempre più esplicite della Casa Bianca per un taglio dei tassi “subito”. A questo proposito il presidente della banca centrale Usa, Jerome Powell, ha respinto le pressioni politiche, in particolare quelle dell’ex presidente Donald Trump, che nei giorni scorsi aveva pubblicamente auspicato un taglio dei tassi e persino evocato il “licenziamento” del numero uno della banca centrale.
“La nostra responsabilità è verso la stabilità dei prezzi e la piena occupazione, non verso la politica”, ha ribadito Powell.
Una diagnosi sfumata: segnali misti dall’economia
Nel comunicato diffuso al termine del meeting, la Fed ha segnalato alcune variazioni rispetto alla nota di marzo, pur mantenendo sostanzialmente invariata la propria visione di fondo. L’economia statunitense continua a mostrare segnali di resilienza, grazie a una domanda interna solida, in particolare nel settore dei servizi.
“La crescita economica è moderata, ma ancora positiva”, ha dichiarato Powell nella conferenza stampa. “La spesa delle famiglie rimane sostenuta, mentre l’inflazione, pur diminuendo lentamente, resta sopra il nostro obiettivo del 2%”.
Parlando di tassi, Powell ha poi aggiunto: “Possiamo permetterci di essere pazienti”.”Siamo in una buona posizione per attendere maggiore chiarezza prima di decidere aggiustamenti della nostra politica. Non penso che dobbiamo avere fretta” sui tassi, ha ribadito.
Inflazione persistente e timori occupazionali
L’inflazione “core” – al netto di alimentari ed energia – rimane un fattore di preoccupazione. Anche se i prezzi al consumo stanno rallentando, l’inflazione nei servizi e i salari continuano a mostrare una certa rigidità. Secondo alcuni membri del FOMC (Federal Open Market Committee), questo potrebbe richiedere tassi elevati più a lungo del previsto.
“Anche se le oscillazioni delle esportazioni nette hanno influenzato i dati, i recenti indicatori suggeriscono che l’attività economica ha continuato a espandersi a un ritmo sostenuto”, rileva la Fed. Il tasso di disoccupazione si è stabilizzato su livelli bassi e il mercato del lavoro resta solido, ma l’inflazione resta elevata.
Tuttavia, gli effetti dei dazi e delle tensioni geopolitiche stanno alimentando uno scenario da manuale di stagflazione – inflazione alta e crescita debole – che rappresenta una delle situazioni più complesse da gestire per una banca centrale. In più, la politica economica di Trump – che combina dazi, tagli alla spesa e deportazioni – viene vista da molti osservatori come un ulteriore fattore di destabilizzazione economica.
Tuttavia, sul fronte occupazionale, cominciano ad emergere segnali meno rassicuranti. I dati recenti mostrano un rallentamento nelle nuove assunzioni e un leggero aumento del tasso di disoccupazione, salito al 4,2% ad aprile. Un dato che, pur non allarmante, potrebbe peggiorare nei prossimi mesi se la stretta monetaria dovesse protrarsi.
Cosa dicono gli analisti
Gli analisti restano divisi: alcuni ritengono che la Fed stia sottovalutando i rischi recessivi, mentre altri sostengono che un allentamento prematuro della politica monetaria potrebbe far deragliare i progressi fatti nel contenere l’inflazione.
Thomas Simons, capo economista statunitense di Jefferies, ha affermato che il linguaggio utilizzato dalla FED minimizza l’entità delle perturbazioni verificatesi dopo la riunione del 18-19 marzo e l’imprevedibilità delle prospettive.
Per l’esperto, tutte le notizie sui dazi del “Giorno della Liberazione”, il tira e molla sugli accordi commerciali e sulle esenzioni tariffarie nei titoli dei giornali e la conseguente negatività espressa nei sondaggi tra le imprese e i consumatori rendono impossibile giudicare quali siano le prospettive economiche, per non parlare del fatto che l’inclinazione dei rischi intorno ad esse sia cambiata..
Secondo gli analisti di Goldman Sachs, l’orientamento della politica della Fed dipenderà da quale tra rischi occupazionali e inflazionistici si concretizzerà o, nel caso più difficile, se l’inflazione e la disoccupazione aumenteranno insieme, costringendo la banca centrale a scegliere il pericolo maggiore. Un mercato del lavoro più debole rafforzerebbe in genere l’ipotesi di una riduzione dei tassi, mentre un’inflazione più elevata richiederebbe che la politica monetaria non espansiva.
“Per il momento la Fed rimane in una posizione di attesa, in attesa che l’incertezza si dissolva”, ha dichiarato alla Reuters Ashish Shah, chief investment officer di public investing presso Goldman Sachs Asset Management, aggiungendo che i recenti dati sull’occupazione, migliori di quanto temuto, hanno supportato la posizione di attesa della Fed.
Secondo il CME FedWatch Tool, strumento che analizza le aspettative del mercato sui tassi di interesse della Federal Reserve, c’è solo il 20% di possibilità di un taglio dei tassi di 25 punti base nella riunione del FOMC di giugno, in calo rispetto al 30% precedente all’annuncio. Nonostante l’incertezza a breve termine, le aspettative rimangono quelle di tre tagli di 25 punti base nel 2025, che porteranno il tasso di policy al 3,50%-3,75%.