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L’Economist: l’evoluzione Corporate Governance in Italia

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L’Economist: il futuro della corporate governance in Italia e il caso Generali

L’Economist, la bibbia del capitalismo finanziario anglosassone è intervenuto il 24 febbraio sul “caso Generali”, con alcune considerazioni rispetto al processo di modernizzazione della corporate governance italiana.

Ad aprile l’Assemblea degli azionisti di Generali si riunirà per votare, tra i vari punti all’ordine del giorno, il rinnovo di Philippe Donnet, attuale Amministratore Delegato del colosso assicurativo. Per la conferma di Donnet si è espressa la maggioranza del Cda e il primo socio Mediobanca (che detiene il 17% di Generali), in virtù dei risultati e della performance ottenuti dalla compagnia sotto la guida del manager francese. Il rinnovo vede, tuttavia, due linee di pensiero che faticano a incrociarsi: da una parte Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica, e Francesco Gaetano Caltagirone, magnate delle costruzioni, che assieme possiedono il 14% dei Generali, dall’altra il CDA della compagnia assicurativa.

I due sembrano al momento contrari al rinnovo di Donnet, anche se non è chiaro il motivo di questa opposizione, soprattutto in considerazione dei risultati previsti nel piano triennale presentato da Donnet. Ad oggi, sottolinea il settimanale britannico, non hanno presentato un business plan o un candidato alternativo anche se denotano una insoddisfazione rispetto alla strategia M&A di Generali, a loro detta troppo timida e poco votata all’internazionalizzazione.

Del Vecchio e Caltagirone sono probabilmente mossi dal timore di una perdita di influenza. Ai vecchi tempi del salotto, l’amministratore delegato di Generali cenava con gli azionisti importanti prima di annunciare decisioni strategiche o nuovi membri del consiglio. Quei giorni lontani sono passati e la compagnia di assicurazioni vanta ormai una governance al passo con le norme europee, che nella maggioranza dei casi rinnovano i vertici tramite lista presentata dal cda uscente.

Generali verso uno stile moderno di Corporate Governance

Il risultato della sfida tra Mediobanca da una parte, che con Alberto Nagel appoggia il processo di ammodernamento avviato da Donnet, e i due “super-senior” dall’altra, prosegue l’Economist, potrebbe decidere se la corporate governance italiana sia finalmente arrivata nel XXI secolo.

Lo stile “moderno” europeo è stato, infatti, seguito dalle regole introdotte da Donnet nel 2020. Il mese scorso il consiglio uscente ha infatti raccomandato una lista di dieci persone per il nuovo board, come avviene solitamente nelle blue-chip internazionali (questa prassi è adottata da 45 delle 50 società componenti l’indice Euro Stoxx 50).

La gestione Donnet e il piano triennale per Generali

Il settimanale britannico prende poi in esame i risultati raggiunti da Generali nel corso dell’ultimo piano industriale: “Parlando di risultati, nel corso del proprio mandato, Philippe Donnet ha rafforzato la posizione di capitale di Generali attraverso la vendita di attività periferiche e ha aumentato la redditività del gruppo”. Ha abbassato l’onere del debito e ha cambiato il suo business mix da prodotti che consumano troppo capitale, come i contratti di assicurazione sulla vita garantiti, a prodotti che pagano un canone, come le polizze property e casualty.

Donnet ha anche guidato le acquisizioni che hanno aumentato la quota di Generali nei principali mercati europei. Una linea strategica moderna che ha trasformato Generali in una “macchina da soldi” che rende felici gli investitori istituzionali, dichiara Andrew Ritchie di Autonomour Research.”

Anche sotto il profilo dell’innovazione “Generali è stata tra i primi a sviluppare un software che scrive da solo contratti assicurativi”, un dato che l’Economist sottolinea mostrando come il processo di modernizzazione della compagnia di Trieste non sia limitato ai soli aspetti di governance.

Alberto Nagel e gli investitori istituzionali prevaranno

Sempre nel piano triennale presentato a dicembre da Donnet, vengono promessi dividendi cumulativi di quasi 6 miliardi di euro (6,8 miliardi di dollari); un aumento annuale degli utili per azione dal 6% all’8% e ha annunciato un buyback di 500 milioni di euro. Motivi che convincono Nagel e gli investitori, che oggi rappresentano il 35% delle azioni, e che probabilmente consentiranno loro di prevalere durante l’assemblea, confermando il rinnovo dell’attuale AD nonostante la posizione di Caltagirone e Del Vecchio.