Società

Dialogo tra due persone normali su come sopravvivere alla crisi economica

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ROMA (WSI) – Wall Street Italia pubblica il primo di una serie di dialoghi tra due italiani come tanti nostri lettori, dove traspare un elemento nuovo: per sopravvivere a questa drammatica crisi che ci attanaglia, conteranno sempre piu’ ironia, cultura, buon senso.

Mauro Scarfone e Filippo La Porta hanno percorso strade assai diverse, che si sono incrociate perché entrambi sono appassionati di musica, vicini di casa con figli nella stessa scuola, e accomunati dalla stessa passione civile, da cui il libro “Sono io a non capire l’economia, o è l’economia a non capire me?”, da poco in libreria per l’editore Portaparole.

Mauro e Filippo sono “convinti che in una democrazia normale i cittadini, per prendere consapevolmente le loro decisioni, devono essere informati sulle questioni economiche”. Da qui nasce l’idea di collaborare a WSI. I due si cimentano nella ‘mission impossible’ di far diventare comprensibile una disciplina per i più “esoterica”, commentando la situazione economica italiana in forma di dialogo, prolungamento delle loro “conversazioni del cappuccino”. Ecco il primo.

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Filippo: Caro Mauro, sai chi era John Wesley e sai perché potrebbe interessare le nostre chiacchierate sull’economia?

Mauro: Beh, era uno dei dischi più belli di Dylan, fine anni ’60…

F: Guarda, ho fatto una piccola ricerca, e non è chiaro se Dylan si fosse ispirato al Wesley di cui voglio parlarti. E anzi sembra così si chiamasse un bandito e pistolero del West… D’altra parte la storia dell’accumulazione originaria è anche una storia – ben poco edificante – di banditi e pistoleri, no?

M: Insomma, chi era il tuo Wesley?

F: Il fondatore del metodismo, il quale, bada bene, ha ispirato sia George W.Bush che la Thatcher (in America ben 5 presidenti furono metodisti: terza confessione religiosa dopo cattolici e battisti). Una religione assai pragmatica. Wesley, vescovo settecentesco, coniò il motto: “Guadagna il massimo, risparmia il massimo, dai agli altri il massimo”. Ma non c’è in questo imperativo proprio la contraddizione di un capitalismo che vorrebbe essere “etico” e invece non può esserlo? L’illusione che solo il capitalismo – e cioè il sistema economico più efficiente nel produrre ricchezza – può risolvere il problema della miseria e del sottosviluppo? Se so che devo dare agli altri il massimo perché mai dovrei faticare a guadagnare il massimo?

M: un rapido sguardo su Wikipedia.., ah sì, il reverendo Wesley fu anche un nemico dello schiavismo e un promotore della sua abolizione. Ciò fa di lui un super apostolo del capitalismo moderno. Al proposito, ti ricordi cosa dice Marlon Brando della schiavitù in quel film straordinario, Queimada? “Cosa pensate che vi convenga di più: vostra moglie o una di queste ragazze?… Con una prostituta i costi diminuiscono… Chi è più conveniente: uno schiavo o un operaio salariato?… I sentimenti non fanno parte dell’economia…”. Lo stesso penso di “dai il massimo agli altri”, mascheratura caritatevole di questa impossibile convivenza tra sentimenti etici e capitalismo.

Sapere che la Thatcher si ispirava a Wesley conferma la mia convinzione che i reverendi dovrebbero occuparsi della salvezza delle anime piuttosto che dell’analisi economica. Per un giudizio sulla Iron Lady (commemorata sui muri di Londra con un pacato “Rust In Peace”) preferisco affidarmi a quello che disse nel 1981 alla Camera dei Lord Nicholas Kaldor (grande economista e non predicatore): “La convinzione che la spesa pubblica debba essere tagliata in modo da pareggiare il bilancio pubblico, chiaramente sostenuta con passione dalla signora Thatcher, deriva da una concezione antropomorfica dell’economia. Le religioni primitive sono antropomorfe. Esse credono in dèi che ricordano gli esseri umani per condizioni fisiche e di carattere” (il discorso è stato ripubblicato recentemente da Keynesblog.it).

Forse Kaldor, ebreo, non conosceva i precetti del reverendo Wesley, altrimenti invece che religione economica “primitiva” l’avrebbe definita “da camera”. L’economia di uno Stato non è l’economia di una famiglia, per uno stato “guadagnare (crescere) il più possibile” e “risparmiare il più possibile” costituiscono un ossimoro che si può perdonare al reverendo settecentesco ma non a una compatriota di Keynes.

E poi, non so proprio a quali “altri” la signora Thatcher abbia “dato il massimo”. Durante i suoi 11 anni al potere, la disoccupazione in Inghilterra passò dal 4,5% al 7%, dopo aver toccato, nel 1987, un atroce 11%. La disuguaglianza dei redditi, come documentato su questo stesso website (wallstreetitalia.com dell’8 aprile) peggiorò drasticamente.

Come ricorda Bardi nel suo blog sul Fatto Quotidiano – unico, mi pare, tra i commentatori – la tenure di Thatcher coincise con il boom del petrolio del Mare del Nord, che liberò l’Inghilterra dal vincolo energetico (e permise alla stessa Thatcher di chiudere le miniere di carbone gettando in miseria centinaia di migliaia di minatori e mettere in ginocchio i sindacati).

Forse questo spiega più di tante politiche monetariste la crescita, maggiore che negli altri paesi europei, del reddito pro-capite degli inglesi, dopo 7/8 anni di impoverimento, ma questa è appunto una media di Trilussa: nel frattempo, la percentuale di poveri crebbe dal 12 al 22%, e la frazione di reddito del fortunato 1% in cima alla piramide sociale quasi raddoppiò.

L’apprezzamento del cambio, dovuto principalmente al saldo energetico positivo e agli alti tassi d’interesse, dette un colpo definitivo all’industria manifatturiera e, insieme con la dissennata deregulation finanziaria, fece espandere a oltremisura il settore bancario. E l’aumentata diseguaglianza, come mette in luce Stiglitz in “Il prezzo della diseguaglianza”, oltre ad essere “poco etica” anche per il reverendo Wesley, é la causa principale della crisi che ci sta affliggendo.

F: Davvero la disuguaglianza all’origine della crisi? La disuguaglianza, in ultima analisi, non conviene. Chissà che direbbe il reverendo Wesley.

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Mauro Scarfone, economista aziendale, è nato al Cairo e vive a Roma. Ha studiato economia a Roma, al Centro di Specializzazione di Portici ed alla Rutgers University nel NJ grazie a un Fulbright Grant. E’ stato assistente del Presidente dell’Istat, nello staff del Ministro del Tesoro Andreatta e del Ministro del Commercio con l’Estero Ruggiero, economista petrolifero all’Eni poi, fino alla fine della sua carriera nel 2009, nel Financial Risk Management dell’Eni. Ha scritto sul commercio estero dell’Italia, sulle professioni emergenti, sui prezzi del petrolio, sui rischi finanziari. E’ stato docente in vari corsi di Master sui temi del rischio finanziario e dei sistemi di controllo.

Filippo La Porta critico e saggista, è nato a Roma, dove vive. Collabora a quotidiani e riviste, tra cui il “Domenicale” del “Sole24ore”, “Il Messaggero”, l”Espresso”. Nel 2007 ha vinto una Fulbright per la ricerca con soggiorno di 6 mesi a New York. Collabora regolarmente a RadioTre. tiene corsi di scrittura presso università (Luiss, Cagliari, etc.), Istituto Europeo del Design, Società Dante Alighieri. Ha scritto, tra l’altro, La nuova narrativa italiana, Bollati Boringhieri 1995, Maestri irregolari, Bollati Boringhieri 2007, Dizionario della critica militante (con Giuseppe Leonelli), Bompiani 2007, Meno letteratura, per favore, Bollati Boringhieri, 2010, Un’idea dell’Italia. La cronaca nazionale nei libri, Aragno, 2012, Pasolini, Il Mulino, 2012.