
L’escalation delle guerra commerciale intrapresa dagli Usa, che oggi ha visto nuovo tassello con l’annuncio di nuovi dazi su acciaio e alluminio, rischia di costare caro ai consumatori italiani, non ultimi a quelli che hanno intenzione di comprare un’auto nuova, Secondo Federcarrozzieri, l’associazione delle autocarrozzerie italiane, queste misure potrebbero potrebbe avere un impatto significativo sul settore automobilistico italiano, con aumenti dei prezzi delle auto nuove stimati tra i 2.500 e i 3.000 euro nel 2025. Questo scenario, unito alle possibili contromisure da parte dei Paesi colpiti e alla crisi dell’economia tedesca, potrebbe generare ulteriori difficoltà per i consumatori e per l’intero comparto.
Le stime di Federcarrozzieri
Federcarrozzieri ha elaborato delle proiezioni sulle possibili conseguenze delle nuove imposte sulle merci studiate dal governo americano. Anche se i dazi non dovessero essere applicati all’Europa, ma solo a Messico e Canada, le case automobilistiche di tutto il mondo subirebbero un impatto significativo in termini di riduzione dei profitti.
Molti marchi, tra cui Volkswagen, Audi, BMW, Stellantis, Honda, Hyundai, Kia, Mazda, Toyota e Nissan, producono automobili in Messico e Canada. Il Messico, con una produzione annuale di 3,5 milioni di autovetture, è il principale paese di origine per le auto vendute dal gruppo Volkswagen negli Stati Uniti (44% delle vendite totali nel 2024) e il secondo per Stellantis (40% tra Canada e Messico), Nissan (31%), Mazda (23%) e Honda (13%).
Gli analisti stimano che Volkswagen potrebbe subire un impatto su circa 8 miliardi di euro di ricavi a causa dei nuovi dazi imposti da Trump, mentre per Stellantis la cifra sale a 16 miliardi. Si prevede una riduzione media degli utili per le case automobilistiche tra il 5% e il 15%.
Colpita l’intera filiera
L’intera filiera della componentistica sarebbe colpita, con dazi applicati a prodotti come airbag e cinture di sicurezza (prodotti da Autoliv), pneumatici (Michelin e Pirelli), sedili (Yanfeng), freni (Brembo) e componenti per motori elettrici (Eurogroup Laminations)2. La conseguenza diretta per i consumatori sarebbe un aumento dei prezzi nel settore automobilistico, dai veicoli nuovi ai pezzi di ricambio2.
Davide Galli, presidente di Federcarrozzieri, ha dichiarato che nel 2024 il prezzo medio di un’autovettura in Italia si è attestato a 30.096 euro, con una crescita del 43% rispetto al periodo pre-Covid (21.000 euro nel 2019)13. I dazi rischiano di innescare una nuova impennata dei listini delle auto a livello globale, che nel 2025 potrebbero aumentare in media di 2.500/3.000 euro rispetto ai prezzi attuali, a causa delle politiche commerciali protezionistiche degli Stati Uniti, che si ripercuoterebbero non solo su Messico, Canada o Cina, ma sull’intera filiera mondiale dell’automotive.
Rincari attesi per i modelli
Federcarrozzieri ha poi elaborato delle stime sulla possibile entità degli impatti economici delle tariffe commerciali. Considerando un incremento del 10% dei prezzi di listino delle auto, i prezzi dei modelli base più venduti in Italia subirebbero le seguenti variazioni:
- Fiat Panda (ibrida): + 1.595 euro
- Jeep Avenger (benzina): +2.475 euro
- Citroen C3 (benzina): + 1.524 euro
- Toyota Yaris Cross (ibrida): + 2.865 euro
- Peugeot 208 (ibrida): +2.422 euro
- Toyota Yaris (ibrida): +2.455 euro
- Lancia Ypsilon (ibrida): +2.390 euro
- Volkswagen T-Roc (benzina): +3.035 euro
Allerta Codacons
Le stime di Federcarrozzieri arrivano mentre il Codacons avverte che, se saranno introdotti contro-dazi dall’Unione Europea sulle importazioni dagli Stati Uniti, una raffica di rincari si abbatterà sui consumatori italiani.
“L’Italia importa ogni anno dagli Stati Uniti prodotti per un controvalore di circa 25,2 miliardi di euro e se l’Ue, come emerso negli ultimi giorni, dovesse varare dei contro-dazi verso gli Usa, a pagare il conto sarebbero anche i consumatori italiani – avverte il Codacons – Tralasciando il settore dell’industria, eventuali dazi imposti dall’Europa sulle importazione dagli Usa provocherebbero aumenti dei prezzi al dettaglio per beni di largo consumo”.
Gli aumenti di prezzo interesserebbero diversi settori: i prodotti alimentari e agricoli (l’Italia importa quasi 1,4 miliardi di euro all’anno da aziende americane), i computer e i prodotti elettronici (le importazioni sono valutate a 1,41 miliardi di euro), i prodotti e preparati farmaceutici (le importazioni valgono 4,3 miliardi di euro), le apparecchiature elettriche e per la casa (le spese ammontano a 500 milioni di euro), i prodotti di carta (le importazioni si avvicinano a 350 milioni di euro), le automobili e i rimorchi (le spese sono leggermente superiori, pari a 406 milioni di euro), gli articoli in pelle e l’abbigliamento (le spese ammontano a 270 milioni di euro).
E se la Germania fosse il problema più grande?
E su altri elementi di preoccupazione, come la crisi dell’economia tedesca che nell’approfondimento della Cgia di Mestre, rispetto alle stime sugli effetti di dazi Usa, “ha già generato e potrebbe continuare a produrre danni significativamente più gravi”.
Secondo un’analisi della CGIA di Mestre, il sistema manifatturiero italiano ha subito danni stimati in 5,8 miliardi di euro a causa del rallentamento tedesco. Una cifra che supera le perdite potenziali per eventuali dazi dell’amministrazione Usa a guida Trump.
La ex locomotiva europea sul binario morto
La Germania, tradizionalmente il principale partner commerciale dell’Italia, sta attraversando una fase di recessione, che dura da due anni. E che rischia di proseguire anche nel 2025. Questa situazione ha compromesso l’importazione di beni e servizi italiani. Qualche numero per capire l’entità del danno per l’Italia. Nel 2023, il valore delle esportazioni verso il mercato tedesco è diminuito di 2,7 miliardi di euro, e nei primi dieci mesi del 2024 la contrazione ha raggiunto i 3,1 miliardi di euro.
Pertanto, sebbene numerosi imprenditori e l’opinione pubblica in generale esprimano una marcata preoccupazione per le conseguenze negative che l’introduzione dei dazi da parte Amministrazione Trump potrebbe arrecare alle nostre imprese esportatrici, la crisi tedesca degli ultimi due anni ha già generato e potrebbe continuare a produrre danni significativamente più gravi. Infatti, non si può escludere che, come avvenne nel 2019 a seguito dell’implementazione delle barriere commerciali sempre introdotte da Trump, le ripercussioni commerciali negative possano risultare meno gravose di quanto ipotizzato.
Tale ipotesi prende le mosse da quanto successo nel 2020, anno caratterizzato dall’innalzamento negli USA dell’aliquota daziale media al 10 per cento sui prodotti importati e dagli effetti del Covid.
“È vero che nel 2020 le nostre vendite negli Stati Uniti sono diminuite di 3,1 miliardi; tuttavia, è probabile che tale calo sia stato principalmente influenzato dal crollo del commercio mondiale causato dall’insorgere della pandemia, piuttosto che dai dazi “innalzati” dal governo statunitense” dicono dalla CGIA.
Il peso dei dazi, secondo l’OCSE
La CGIA di Mestre ricorda che, secondo l’OCSE, l’eventuale introduzione di dazi al 10 per cento sull’intera gamma dei prodotti e dei servizi importati dall’UE, provocherebbe una riduzione in termini economici delle esportazioni italiane verso gli USA pari a 3,5 miliardi di euro che salirebbe a 10/12 miliardi nel caso l’aliquota fosse elevata al 20 per cento. Quasi sicuramente i settori più penalizzati sarebbero quelli che ad oggi hanno un tasso di penetrazione nel mercato statunitense più significativo. Ricordiamo, infatti, che nel 2023 le vendite di medicinali e di prodotti farmaceutici hanno cubato 7,7 miliardi di euro, gli autoveicoli 4,9 e le navi/imbarcazioni 4,2. Seguono i macchinari, le bevande (in particolare i vini), i prodotti petroliferi e l’abbigliamento