*Alfonso Tuor e’ il direttore del Corriere del Ticino, il piu’ importante quotidiano svizzero in lingua italiana. Il contenuto di questo articolo esprime esclusivamente il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – La tempesta attorno a Citigroup ha fatto prepotentemente ritornare la paura sui mercati finanziari. La più grande banca del mondo ha comunicato che le perdite per le attività collegate con i titoli legati ai mutui subprime si eleveranno nel solo terzo trimestre di quest’anno a 11 miliardi di dollari e non a 6 miliardi, come precedentemente annunciato. Non sorprende che sia caduta la testa di Chuck Prince, il numero uno della banca americana, che così segue le orme di Stan O’Neal di Merrill Lynch che negli scorsi giorni aveva annunciato 8 miliardi di perdite per il solo terzo trimestre.
Queste dimissioni e soprattutto queste perdite miliardarie hanno rammentato che la crisi scoppiata lo scorso mese d’agosto è lungi dall’essere conclusa, come politici e banchieri centrali si erano affrettati ad assicurare. Ha rammentato che in settembre e in ottobre abbiamo assistito unicamente ad una fase di latenza e che ora bisogna fare i conti con i numeri, che diventano ogni giorno peggiori a causa dei continui ribassi degli indici che cercano di misurare il valore dei titoli collegati ai mutui subprime. E, dato che le cifre sono «testarde», fanno scempio delle precedenti stime fornite dalle stesse banche.
Quindi non deve sorprendere l’ampliarsi delle perdite di Citigroup e di Merrill Lynch. Non deve nemmeno sorprendere che le previsioni per il futuro sono ancora più nere. Prendiamo l’esempio di UBS (che ha già annunciato di aver perso 4 miliardi di franchi nel terzo trimestre) possiede circa 39 miliardi di dollari di titoli legati ai mutui subprime. Ora, secondo gli analisti di Merrill Lynch, UBS ha svalutato questi titoli solo del 10%, invece di oltre il 30% come indica l’indice ABX dei titoli legati al mercato immobiliare. Secondo questi analisti, se non vi sarà un rialzo del valore di questi titoli, che nessuno osa prevedere, UBS dovrà contabilizzare nei prossimi trimestri altri 8 miliardi di dollari di perdite. E calcoli di questo genere vengono ripetuti in queste ore anche per molti altri istituti e non solo per quelli bancari. Cominciano pure ad emergere le perdite di alcune grandi compagnie di assicurazione ed è facilmente prevedibile che presto non mancheranno all’appello anche fondi pensione ed altri hedge funds. Pensi davvero che informazioni gratis possano bastare, in un mercato come questo? Hai mai provato ad abbonarti a INSIDER? Scopri i privilegi delle informazioni riservate, clicca sul
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La gravità della crisi è confermata dal fatto che non si è ancora in grado di fare una stima sul volume complessivo delle somme in gioco. Infatti la stima delle insolvenze del mercato immobiliare americano varia dai 100 ai 200 miliardi di dollari. Pur trattandosi di cifre notevoli, esse sarebbero facilmente «digeribili» dal sistema finanziario internazionale. Il problema è che le banche hanno «acquistato» queste ipoteche per piazzarle sul mercato dopo averle impacchettate in emissioni obbligazionarie, per cui oggi sono in circolazione, secondo la banca centrale inglese, circa 1300 miliardi di dollari di titoli legati al mercato immobiliare americano più a rischio.
Ma la vicenda non è finita, poiché su queste obbligazioni sono stati creati una miriade di nuovi strumenti finanziari (come i CDO) o sono state fatte scommesse (credit swap, ecc.). Sommando il tutto, le cifre diventano imponenti e soprattutto preoccupanti, anche perché è svanita la speranza delle banche di una ripresa di questo mercato. E quindi ora siamo al secondo atto (e sicuramente non a quello finale) della crisi dei mutui subprime.
L’aggravarsi della crisi pone di nuovo in prima linea le banche centrali e soprattutto la Federal Reserve. La banca centrale americana, che ha già ridotto i tassi di tre quarti di punto per attutire gli effetti della crisi, rischia di trovarsi in una situazione sempre meno confortevole. È spinta, da un canto, a tagliare nuovamente il costo del denaro dalla crisi bancaria e da quella del mercato immobiliare. Ma ha, d’altro canto, uno spazio di manovra che si restringe sempre più, perché nuovi tagli dei tassi potrebbero provocare una crisi del dollaro dagli effetti imprevedibili. E la storia ci ricorda che tutte le crisi valutarie sono precedute dalla fuga dei capitali domestici: è quanto sta succedendo ora negli Stati Uniti. Secondo una stima della Bank of America quest’anno il deflusso di capitali dagli Stati Uniti raggiungerà i 290 miliardi di dollari. Occorre dunque seguire con attenzione questo secondo atto della crisi dei mutui subprime, che è destinato a riservarci nuovi clamorosi colpi di scena.
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