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Cosa non si fa per il potere. Casini, l’ultimo voltafaccia per far vincere Berlusconi

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ROMA (WSI) – Pier si alza sulle punte, compie qualche passetto verso destra e si prepara all’esercizio preferito: la piroetta. La Danza delle Ore di Casini non serve più alla sopravvivenza di un centrino ormai tirato via dal tavolo della politica, ma più che altro alla sua.

“Torna da Berlusconi che fu suo mentore – dice Enzo Carra, ex portavoce di Arnaldo Forlani – questa non è una novità ma la rassegnazione di chi aspira semplicemente ad un posto”. Anche perché questa volta quello che da uomo del centro è diventato uomo del “C’entro?” (ironia di Dagospia) si arma, parte, ma appena si volta pare trovare il deserto.

Andrea Olivero e Lorenzo Dellai (a loro volta transfughi di Scelta Civica, ora cosiddetti Popolari per l’Italia o anche detti “di Mario Mauro”) lo chiamano con distacco “nostro collega di gruppo” e dicono di attendere che la presa di posizione diventi “ragionevolmente definitiva”. Per ora, concludono, restano dove sono, cioè nel “popolarismo” all’europea (che in Italia è come Godot). Tradotto: ma come, non c’eravamo messi tutti insieme per fare un polo alternativo a Silvio Berlusconi?

Casini la trottola: torna tra le braccia di Berlusconi – ben determinato a giocarsela anche da “esterno”, incandidabile e interdetto dai pubblici uffici – due mesi dopo aver votato la sua decadenza da senatore, ma vent’anni dopo averlo sdoganato una volta per tutte mentre si dibatteva dell’opportunità di veder scendere un imprenditore con tutti i suoi interessi in politica. Era il 28 gennaio 1994 e il leader del neonato Ccd diceva: “Abbiamo visto di tutto nelle liste delle ultime tornate: cantanti, sportivi, mezzibusti e disc jockey. Perfino una pornodiva. Davvero si può pensare che l’unica interdizione sia per Berlusconi? E per quali ragioni? Negli altri Paesi occidentali dove il ricambio delle elite politiche funziona meglio che da noi, l’immissione di nuove figure e nuovi leader non suona come una profanazione della sacralità del Palazzo, ma più semplicemente come un mettere se stessi e gli altri alla prova”.

La centralità di Casini per far vincere B con l’Italicum di Renzi

Di certo non sarà lui, Berlusconi, a respingere il ritorno del pacchetto di voti marchiati dallo scudo crociato. Il Pd ha voluto l’innalzamento della soglia per il premio di maggioranza nella nuova legge elettorale al 37% e il Cavaliere sta facendo la collezione di nanetti variopinti con cui allearsi (Nuovo Centrodestra, Fratelli d’Italia, La Destra, Lega Nord) e battere sul filo Matteo Renzi. Tutto ciò a riprova del fatto che, in prima battuta, l’Italicum pare sempre più cucito su misura di Berlusconi. E, di riflesso, del fatto che non è stato Renzi a ottenere l’intesa con Forza Italia, ma che per l’ennesima volta è il Caimano che – anche condannato e espulso con disonore dal Parlamento – dà e toglie le carte dal panno verde. Come sempre da quelle parti c’è qualcuno che vuole strafare: “Forza Italia può conseguire il 37% con Berlusconi” dice Micaela Biancofiore secondo la quale quindi non c’è neanche bisogno di stringere patti.

L’arma inaspettata di Forza Italia per vincere al primo turno

Al contrario Casini rappresenta l’ultimo tassello del puzzle del capo di Forza Italia. Una strategia per vincere al primo turno e che per i partitini potrebbe trasformarsi in beffa: la soglia è al 4%, chi non la supera non prende seggi che invece vengono redistribuiti tra i partiti più grossi della coalizione. Nella sostanza se Forza Italia vincesse le elezioni, ma nessuno degli alleati passasse la soglia del 4%, i berlusconiani si prenderebbero tutti i seggi previsti (da un minimo di 327 a un massimo di 340). Ma tutto questo deve avvenire al primo turno perché, dice Berlusconi, al ballottaggio il centrosinistra è più forte (“I grillini voterebbero per loro”).

I sondaggisti: “Casini? Vale tra il 2 e il 4%, essenziale per B”

Ecco quindi che Casini forse non sarà più il centro, ma diventerà centrale: “Potenzialmente – dice Nicola Piepoli, intervistato dall’AdnKronos – ha il 5-6% ma è stato letteralmente ‘disossato’ dal suo amico-concorrente Mario Monti. Forse l’unica scelta sbagliata della carriera politica di Casini è stato andare con il professore: ora dovrebbe avere almeno il 4% dei voti. Ce la farebbe, è uno che si batte e ha ottimi collaboratori”. “Nel passaggio di Casini – conferma Antonio Noto, direttore Ipr Marketing, alla stessa agenzia di stampa – ci dovrebbe guadagnare il centrodestra perché l’Udc è intorno al 2-2,5%. Sono convinto che l’Udc a destra possa valere un po’ di più rispetto alla sua scelta di stare al centro. Tenendo presente l’ipotesi dell’Italicum come nuova legge elettorale, l’Udc potrebbe aiutare il centrodestra a superare la soglia del 37% e quindi i centristi si rivelerebbero essenziali per strappare la vittoria e conquistare Palazzo Chigi”. Per Maurizio Pessato, di Swg, “l’Udc ora vale sotto il 2%, ma il punto è valutare l’area centrista, che alle elezioni dello scorso febbraio aveva il 10%. A seconda di come si orienterà, il centro potrà determinare la vittoria dell’una o del’altra coalizione”.

Quando Pierferdinando diceva: “Fini si è sempre piegato, io no”

Casini spiega così il ritorno ai vecchi sapori: “La sera delle elezioni – ha detto in un’intervista a Repubblica – ci siamo accorti che il nostro terzo polo era evaporato. Anzi, l’aveva fatto Beppe Grillo”. Il risultato finale del “tutti con Monti”, insomma, è stato che il Professore si è rivelato un eccellente un tram per entrare – con maschere e verginità messe a nuovo – di nuovo in Parlamento. Per Pierferdinando Casini, in particolare, è stata la volta numero 9: entrò in Parlamento nel 1983 (Renzi aveva 8 anni). Era lo stesso anno dell’ingresso alla Camera di Gianfranco Fini, con la differenza che il post-missino si è ritirato a vita privata. In più l’ex capo di An, quando si è stufato di Berlusconi, lo ha affrontato anche platealmente durante la celebre direzione nazionale del Popolo delle Libertà del 2010 (21 aprile, “Che fai, mi cacci?”) ed è sparito più o meno nel nulla.

Il leader dell’Udc invece no. Eppure lui si sentiva un cuore impavido: “Arrivati al dunque – diceva nel 2008, alla vigilia delle elezioni poi vinte da Berlusconi contro Veltroni – Fini si è sempre piegato, io no. Fini contraddice Berlusconi nelle riunioni, poi, uscito da Palazzo Grazioli, negli atti politici finisce sempre per dargli ragione”. Ora, invece, è lui che rischia di dare definitivamente ragione a Berlusconi: “Casini non capisce che il centro c’è già ed è Forza Italia” ha detto il Cavaliere. Non ieri: l’ha detto nel 2000.

Casini, sempre al fianco del Cavaliere (ora no, ora sì)

Non è neanche la prima volta che Casini si mette al servizio di Berlusconi. I democristiani del Duemila erano sempre lì a tenere il sacco, durante gli anni del “governo più longevo della Repubblica” e soprattutto delle leggi ad personam. L’autore della depenalizzazione del falso in bilancio, per dirne una, non è stato Previti, Pecorella, Ghedini, Bondi o la Santanchè, ma Michele Giuseppe Vietti, braccio destro di Casini e sottosegretario alla Giustizia con Berlusconi premier dal 2001 al 2005: in quota Udc (con quel poco per cento) è diventato vicepresidente del Csm. Anche Melchiorre Cirami fu eletto con l’Udc: la legge che porta il suo nome regola il cosiddetto “legittimo sospetto” e consente la remissione dei giudici quando emerge un dubbio fondato sull’imparzialità dei magistrati. Norme poi invocate dagli avvocati nei processi a carico di Berlusconi.

L’Unione di Centro in quegli anni in cui il proprio leader era presidente della Camera si prestò a far approvare di tutto e infatti in quegli anni Bruno Tabacci (che votava furente contro le decisioni del partito, con tanto di vaffa) sembrava davvero un rivoluzionario marxista-leninista. Ma Pierferdinando non si smuoveva, alla crociata berlusconiana ci credeva. Ancora nell’aprile 2006 cavalcava al fianco del Cavaliere: “Esiste una parte faziosa di magistratura militante che fiancheggia la sinistra. Sono state fatte tante speculazioni sulle leggi ‘ad personam’”.

Casini il grillino: “Vuole alleati servili”

Tutto chiaro? No. Un anno e mezzo dopo (25 ottobre 2007) si presenta a Otto e mezzo su La7 e dichiara: “Se Berlusconi nei cinque anni di governo si fosse occupato meno di giustizia e di televisione forse avremmo rivinto le elezioni”. Qualcuno potrebbe ricordare che Casini (come tutti gli altri dirigenti politici degli ultimi vent’anni) non hanno proprio fatto una corsa per fare una legge sul conflitto d’interessi che avesse standard internazionali. Ma un mese dopo il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa – compagno di mille battaglie di Casini – insisteva: “Le principali responsabilità della rottura sono del Cavaliere, perché troppo spesso ha anteposto i propri interessi privati a quelli generali del Paese”. Tutti pensano: dai, è passata, l’Udc si è affrancata dalla destra multiforme che va dai leghisti ai tricolore. Tanto che si presenta da solo alle elezioni del 2008 e disdegna le prove di accordo del Cavaliere: “Dopo 14 anni di collaborazione, dico all’amico Silvio Berlusconi una cosa chiara e semplice: non tutti in Italia sono in vendita. Ci sono tanti italiani che non si sentono di delegare il proprio futuro a una nuova formazione populista e demagogica”. Nel giro di tre settimane aggiunge: “L’onorevole Berlusconi pretende dagli alleati un servilismo che sono orgoglioso di non aver mai avuto”. Vai, Pierferdy! “A Berlusconi rispondo: a una certa età non bisognerebbe dire bugie”. Molti si sentono sollevati: la scuola democristiana ha funzionato, Casini non può continuare a fare il “servile”. Infatti ribadisce nel marzo 2008: “Dubito che Berlusconi abbia mai fatto nulla contro il proprio interesse”. Rocco Buttiglione prova una uscita onorevole dal rapporto con Berlusconi: “Tutte le volte che Berlusconi ha cercato di fare gli affari suoi e non gli affari del popolo italiano noi lo abbiamo distolto”. Quindi la rottura sembra ormai insanabile. Fino alla fine del quarto governo Berlusconi: “L’unica priorità – spiega il 15 aprile 2011 – è inseguire i suoi processi e censurare quella poca stampa che finora ha impedito la normalizzazione totale. Ormai il governo è su un piano inclinato, stanno perdendo credibilità e il premier sbaglia se pensa che con queste leggi possa recuperare consensi”.

Casini il berlusconiano: “L’area moderata è la mia casa”

Ora i consensi gliene porta un po’ lui, Casini, dopo un’altra giravolta da Joaquìn Cortès. Quanto basta per far sperare Berlusconi di vincere ancora una volta (e definitivamente). Quanto basta – al tempo dei grillini e ora che i sondaggi non vanno più – per poter tornare in Parlamento, lui che è 31 anni che c’è seduto dentro. “Io ritengo che oggi, in queste condizioni, dopo tutte le battaglie che ho fatto, testimone solitario mentre gli altri guardavano dagli spalti, oggi in Italia sia necessario pesare all’interno di una grande coalizione e l’area moderata è la mia casa”. Certo, si potrebbe dire che “negli altri Paesi occidentali dove il ricambio delle elite politiche funziona meglio che da noi, l’immissione di nuove figure e nuovi leader” non dovrebbe suonare “come una profanazione della sacralità del Palazzo”. In ogni caso almeno lui ha deciso di non voler morire democristiano.

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