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Così truccavano i conti per arricchire i Ligresti

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ROMA (WSI) – Agli amministratori di Fonsai interessava un dato finale che fosse coerente con il piano industriale, indipendentemente da come poi sarebbe stato conseguito, quel risultato purché costruito in modo accettabile». È così Sergio Pappadà, addetto al controllo di gestione della compagnia, spiega come Fonsai fosse un giocattolo da manipolare. Una miniera quasi inesauribile di denaro.

I manager trovano il sistema per aggiustare i numeri, piegando la rigida matematica che governa l’esistenza delle assicurazioni in modo da garantire un flusso di denaro in un’unica di direzione. Destinazione Ligresti. È per questo motivo che viene manipolata la riserva sinistri, voce fondamentale delle assicurazioni. Basta cambiare i criteri di calcolo e il gioco è fatto.

Nell’ordinanza il giudice Silvia Salvadori spiega il meccanismo della riserva sinistri usato dai Ligresti per prosciugare le casse di FonSai. «La riserva sinistri – spiega il gip – rappresenta una voce di costo nello stato patrimoniale, che deriva dall’accantonamento per il futuro delle somme necessarie a pagare i sinistri».

Occorre essere «prudenti» e accantonare risorse adeguate. Ad esempio, se si chiudono troppo in fretta le pratiche sugli incidenti in vista dell’approvazione di bilancio, si rischia di dover riaprire le pratiche nell’anno successivo. Può capitare nelle società assicurative, ma di recente in Fonsai il numero delle «riaperture» era eccessivo e veniva manipolato col metodo matematico «fisher lange», usando la media dei sinistri degli ultimi anni.

Dato che l’Isvap, l’autorità di controllo sulle assicurazioni, ha segnalato, ma «avrebbe dovuto farlo con più sollecitudine» dicono gli investigatori. Come vasi comunicanti, i sinistri «aperti» o «chiusi» posso modificare il saldo di un bilancio.

Ma la «sottoriservazione» non era nota solo all’Isvap, ma come sottolineano gli inquirenti anche all’interno della società e ciò nonostante questa pratica è stata portata avanti senza adeguare gli accantonamenti. E giocare con questi numeri, significa alterare la percezione del mercato sulla solidità della società.

Su tutti questi temi vengono interrogati in procura e poi intercettati per mesi manager e dipendenti di Fonsai. L’ad Emanuele Erbetta, parlando al telefono delle indagini del pm Gianoglio, è scandalizzato. «È il teorema che loro pensano, non conoscendo l’azionista, che l’azionista potesse esercitare, no, il solito sistema Ligresti, tipico magari degli immobili, ma cioè veramente pazzesco».

Poi però, parlando al caffè Norman di Torino il 29 maggio scorso, Erbetta dice a Fausto Marchionni, sempre in relazione alle indagini: «Torino ha in mano le dichiarazioni di Gismondi, (Fulvio Gismondi, consulente per Fonsai ndr) che anche se è vero che le ha certificate, noi lo sapevamo già che nel 2008 c’erano 500 (milioni) di sottoriservazione che poi nel 2012 sono diventati 800…». Il dialogo è raccolto da un sottufficiale della finanza. Marchionni risponderebbe: «Madonna, non finisce più questa storia, speriamo che ci si ferma a queste ipotesi qua, che non salta fuori tutta la storia della parte immobiliare e della corruzione altrimenti viene fuori un casino».

In casa Fonsai, per altro, si sapeva che i numeri venivano manipolati con leggerezza. Una dipendente consola al telefono Erbetta e dice: «Ho capito, però sai il buon Marchionni ne faceva una peggio dell’altra sui bilanci, non è che lo tenesse nascosto». Infatti, in un’altra conversazione, parlando delle giustificazione da dare alla procura sulla scelta del metodo matematico adottato da Fonsai, rispetto ad altri, Marchionni discute con Erbetta del Fisher Lange, più funzionale alle esigenze societarie. Marchionni: «Perché tu in una azienda usi solo la Fisher Lange e nell’altra ne usi un’altra?». Erbetta: «È quello il tema!». Marchionni: «O comunque usi il coso dei tre metodi? Ecco quello lì, effettivamente, una giustificazione su quella roba lì e difficile trovarla!». Erbetta: «Però bisogna darla!».

Antonio Talarico lo dice chiaramente dialogando con Marchionni: «Io non sono disposto a… prendermi certe responsabilità, che erano degli azionisti. Io ero un manager e quindi eseguivo quello che erano le disposizioni del socio di maggioranza». Cioè i Ligresti. Più avanti aggiunge: «Caro mio molta gente entrava in consiglio e approvava queste operazioni e non fiatava, non perché non era al corrente o roba del genere. Lo conosciamo tutti, le perizie le abbiamo sempre distribuite a tutti. È verbalizzato ed è vero, cioè a dire è la sacrosanta verità. Quindi uno se la leggeva, visto che siede in consiglio, viene pagato per sedersi in quel consiglio e se approvi un’operazione è perché la condividi».

Marchionni colloquia con Andrea Novarese, direttore generale di Premafin, su un’ipotesi difensiva: «L’ho fatto perché sennò dovevo fare un aumento di capitale ancora più grande? Benissimo e cosa succedeva se c’era un aumento di capitale più grande, perdevo il controllo? Benissimo perché tutti gli anni hai sottoriservato? Per dare dividendi». E Novarese conferma: «E dove finivano sti’ dividendi? Ehi dici Premafin, eh capirai, chi c’era prima di me li vedeva passare anche lui».

Marchionni, in un’altra conversazione, con indagini già ben avviate si sfoga con un altro manager Fonsai.
Dice: «Ho anche un po’ le scatole rotte, perché adesso se continua così poi uno racconta un po’ di cose eh, insomma, diventa anche fastidioso». Poi aggiunge: «…Allora comincio a parlare e allora le cose diventano difficili per tutti». Il giudice in merito considera: «In realtà Marchionni è depositario di importanti verità sulla storia di Fondiaria che si è impegnato a non divulgare ma in cambio dell’incarico di presidenza del consiglio di amministrazione di Siat. E così, il rapporto con i Ligresti, meno di un mese fa, si fa delicato, dopo una serie di interrogatori e sfoghi pubblici di Jonella. Marchionni, parlando con Talarico sbotta: «A me cosa mi fa girare i c… Antonio, come fa la Jonella a dire: “io non c’ero se c’ero dormivo, hai visto la sua dichiarazione: “ah ma io non facevo niente”. Tra l’altro si dà pure la zappa sui piedi, se non facevi niente».

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