di Rosa Rutigliano
Il contenuto di un contratto non è determinato soltanto dalla volontà delle parti, ma anche da norme giuridiche che completano, modificano o sostituiscono il regolamento di interessi voluto dalle parti. Si tratta della cosiddetta integrazione del contratto, prevista e disciplinata negli articoli 1374 e 1339 del codice civile.
La regola di fondo dell’integrazione prevede che il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità.
In primo luogo, alcune norme hanno la funzione di colmare le eventuali lacune del contratto, vale a dire gli elementi del rapporto contrattuale che non sono stati espressamente regolati dalle parti.
Si tratta quindi di norme suppletive, o derogabili, che si applicano soltanto in mancanza di una diversa volontà dei soggetti interessati.
Per esempio se in una vendita le parti non hanno indicato dove devono essere eseguiti la consegna della cosa e il pagamento del prezzo, la legge stabilisce che la cosa deve essere consegnata nel luogo dove si trovava quando è stato concluso il contratto, a condizione che entrambe le parti ne fossero a conoscenza (articolo 1510, 1° comma), e che il prezzo deve essere pagato presso il domicilio del venditore (articolo 1182, 3° comma). In secondo luogo, concorrono a completare il contratto anche gli usi contrattuali, per quanto non è stato previsto dalla volontà delle parti o dalla legge: in mancanza di una diversa volontà dei soggetti interessati, infatti, in un contratto si intendono inserite anche le clausole d’uso (articolo 1340).
Le clausole in esame sono costituite dalle regole di comportamento che vengono osservate in genere nei rapporti di un certo tipo (per esempio nei rapporti tra i proprietari e gli inquilini, nelle vendite al dettaglio, nel credito al consumo).
Gli usi contrattuali, che sono vincolanti per i contraenti in quanto sono richiamati dalla legge e integrano il contenuto del contratto, non devono essere confusi con: i cosiddetti usi normativi, che individuano la consuetudine come fonte non scritta di produzione di norme giuridiche generali e astratte; le cosiddette clausole di stile, che vengono inserite in un contratto da una parte o dal professionista che lo redige e che sono considerate vincolanti soltanto quando corrispondono a un’effettiva volontà delle parti.
Infine alcune norme hanno la funzione di tutelare specifici interessi di carattere generale o comunque ritenuti socialmente rilevanti.
Queste norme, a differenza di quelle viste in precedenza , sono imperative o inderogabili e si applicano anche contro una diversa volontà dei soggetti interessati.
In particolare le clausole e i prezzi di beni o servizi imposti dalla legge sono inseriti di diritto nel contratto, anche in sostituzione delle clausole o dei prezzi concordati dalle parti (cosiddetta inserzione automatica di clausole, art. 1339): per esempio alcune leggi speciali fissano la durata massima, giornaliera e settimanale, dell’attività lavorativa e tali limiti si applicano anche se nel contratto individuale di assunzione di un lavoratore è stata stabilita una durata superiore.
Tali disposizioni imperative si applicano direttamente al rapporto contrattuale nonostante la diversa previsione delle parti, realizzando un’integrazione cogente del contratto. La tendenza dell’ordinamento è peraltro chiaramente nel senso di allargare l’area di protezione della parte debole, introducendo una ampia gamma di determinazioni legali del contratto che possono essere derogate solo a favore della parte tutelata.
La disciplina autoritaria del contratto costituisce indubbiamente una limitazione dell’autonomia contrattuale, che appare tuttavia costituzionalmente legittima ed anzi doverosa in quanto volta ad impedire che l’esercizio dell’attività economica si ponga in contrasto con l’utile sociale.