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Con il trust la famiglia è protetta

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Pianificare il futuro dell’impresa familiare è diventata oggi una delle priorità per l’imprenditore che ha sempre più la necessità di garantire un passaggio generazionale privo di conflitti e con un equilibrato carico fiscale. Ancor più in tempi di Covid-19. Una delle soluzioni che si sta affermando in Italia è il trust.
Uno strumento giuridico di grande flessibilità e adatto a conseguire molteplici obiettivi contemporaneamente, purché ben costruito, in trasparenza e nel rispetto delle normative italiane.
Ci aiuta a capirne di più Luca Cirillo, professionista della consulenza finanziaria e patrimoniale, e della programmazione fiscale e successoria, e figura di riferimento dello Studio Consulenza Cirillo.

Iniziamo dalle basi: cos’è il trust?
“Con l’istituto di un trust, che in Italia viene creato con un apposito atto firmato, preferibilmente, presso un notaio, prende forma un’entità patrimoniale costituita da un insieme di rapporti giuridici che consente ad un soggetto, detto “trustee” o “fiduciario”, di controllare e gestire un patrimonio o dei beni apportati da una persona, il “disponente”, nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato.
Il trust è così un ente privo di personalità giuridica, costituendo un semplice insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato, formalmente intestati al trustee. In estrema sostanza, sono quindi coinvolte quattro componenti: un disponente (la persona che richiede la costituzione del trust e che apporta un bene), un trustee (il gestore), un patrimonio o dei beni apportati dal disponente, e un beneficiario nonché un guardiano che vigilerà se il trustee adempie a quanto stabilito nell’atto istitutivo”.

Cosa comporta per gli attori coinvolti?
“L’istituto del trust non determina alcuna conseguenza economica nella sfera delle parti contraenti. Non avendo il trust personalità giuridica è il trustee l’unico soggetto legittimato nei rapporti con i terzi, in quanto dispone, in esclusiva, del patrimonio vincolato alla predeterminata destinazione.
L’atto istitutivo del trust e l’atto devolutivo non esprimono capacità contributiva, né per il disponente, la cui utilità è rappresentata dall’effetto di separazione dei beni con limitazione della regola generale di cui all’art. 2740 c.c., né per il trustee, stante il carattere solo formale, transitorio, vincolato e strumentale del suo acquisto. Questo comporta che una vera manifestazione di forza economica e quindi di capacità contributiva prende consistenza solo quando la funzione del trust viene attuata, ovvero al momento del trasferimento finale al beneficiario.
Cosa vuol dire? Che per tutta la durata del trust il beneficiario – come ad esempio i figli di un imprenditore – è titolare di diritto di aspettativa, non di un diritto d’uso, o della proprietà, fino a quando il trust ha esaurito i suoi effetti o al verificarsi dell’evento previsto nell’atto istitutivo. Il bene apportato in un trust, come ad esempio l’azienda o il negozio di famiglia, viene vincolato a un fine, come dare un reddito costante al beneficiario garantendogli un futuro – con una situazione di sospensione che può durare anni e anni”.

Come si inserisce nella normativa italiana?
“I beni finiti sotto l’amministrazione del trustee trovano la propria causa nell’attuazione nelle finalità del trust secondo quanto previsto dagli artt. 2 e 11 della Convenzione de L’Aja, resa esecutiva in Italia con la L. 16 ottobre 1989, n. 364 (in vigore dal 1992), che riconosce la proprietà “finalizzata” o “qualificata”, mentre troveranno applicazione le previsioni ed effetti, facendo riferimento all’articolo 832 cod. civ., solo al termine del trust.
Anche in base alla Carta dei diritti fondamentali non può paragonarsi la proprietà detenuta dal trustee alla proprietà piena, diversamente da quanto è previsto per il proprietario, che, invece, ne può disporre e lasciare in eredità.”.

Quali i vantaggi nel passaggio generazionale?
“Il disponente, nell’ottica di una pianificazione successoria, può regolare l’aspetto attributivo dei beni, trattandosi comunque di un’operazione negoziale per tutto il tempo che resta in vita. Questo lo può fare ponendo un vincolo reale tanto sul patrimonio messo nel trust quanto sul risultato economico della gestione del patrimonio stesso, attraverso un meccanismo prestabilito nel trust di attribuzione di utili agli stessi beneficiari del trust stesso, di solito i suoi eredi.
Nel momento in cui viene a mancare il disponente, il trustee si attiverà allo schema di produzione degli effetti: anche in tal caso non si avrà un’attribuzione immediata e definitiva dei beni nel trust ai suoi successori, situazione che permette di gestire meglio nel tempo, senza effetti istantanei, i passaggi in particolar modo in una dinamica d’impresa.
Evita infatti il possibile scoppio di gelosie e rivalità fra eredi portando allo smembramento dell’azienda o a conseguenze ben più drastiche come la “morte” dell’azienda.
Ma attenzione. Il trust non consente comunque la lesione della quota di legittima, ma quanto meno preserva, per intero, il patrimonio con unitarietà di volontà di gestione della società e senza ripicche o prese di principio fra eredi.
Ha diversi vantaggi rispetto ad altri istituti; nel patto di famiglia, ad esempio, in un momento successivo alla stesura potrebbe rivelarsi infelice la scelta operata dal capostipite di escludere un erede piuttosto che un altro.
Con il trust viene offerta la possibilità di modulare i poteri attribuiti al trustee, consentendogli, ad esempio, di saggiare le qualità del beneficiario designato a subentrare nella gestione quando questi abbia acquisito sufficiente esperienza.
Già nell’atto istitutivo si può prevedere una regolamentazione dettagliata del programma di gestione dei diritti sottesi ai beni, in relazione alla loro natura (partecipazioni societarie, aziende, immobili, denaro), cosi da prevedere, fin da subito, o in un successivo momento, attraverso lo strumento della “lettera dei desideri” scritta dal disponente e indirizzata al trustee, le regole per la distribuzione dei dividendi, l’assegnazione della proprietà dei beni in trust nel corso dell’attuazione del programma al verificarsi di determinate condizioni”.

Quanta consulenza finanziaria c’è in un trust?
“La generica prescrizione di avvalersi di titoli del debito pubblico “a basso rischio” nella gestione degli assets finanziari evidentemente non ha, oggi, alcun aggancio con la realtà dei mercati finanziari. Nondimeno questa è l’insufficiente indicazione presente nella maggior parte degli atti di trust.
Una possibile alternativa è offerta dall’adesione ai principi dell’Evidence based investing (Ebi). Un allegato tecnico all’atto di trust improntato ai principi Ebi può costituire, per il Trustee, uno scudo col quale difendersi dalla cattiva consulenza ed una guida operativa in grado di definire non solo il policy portfolio (l’allocazione iniziale) ma anche i criteri e la tempistica di “manutenzione” (ribilanciamento) del portafoglio investimenti finanziari.
Credo che questa nostra proposta, già presente in diversi atti di trust, sarà vista con estremo favore anche dalla giurisprudenza”.

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di luglio-agosto del magazine Wall Street Italia