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Commercianti, tasse scenderanno

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ROMA (WSI) – A Palazzo Chigi e al Tesoro le nuove stime di Standard and Poor’s e dell’Ocse sono state accolte con una certa indifferenza. Già da luglio Renzi e Padoan erano pronti al peggio. Sin da quando, attirandosi parecchie critiche, il premier aveva detto che un decimale in più o in meno «non cambia la vita delle persone».

I numeri dicono che la crisi in Medio oriente e le tensioni con la Russia peseranno sulla tenuta delle esportazioni verso l’est del mondo almeno fino alla fine dell’anno: chi al Tesoro sta calcolando le nuove stime per la nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, ne ha già stimato le conseguenze.

Il governo non sarà pessimista come l’Ocse, ma – così promettono al Tesoro – «non faremo finta di nulla». A poche ore dal discorso parlamentare sui mille giorni, Renzi e Padoan sono sempre più convinti della linea scelta: la legge di Stabilità, ovvero il programma di politica economica per il 2015, non sarà recessiva e non «prevederà alcuna correzione dei conti», conferma il sottosegretario Delrio.

Dunque niente manovrine per centrare il deficit, né accantonamenti per rispettare la regola del debito. La legge di Stabilità si concentrerà sull’unica via d’uscita considerata percorribile: tentare di rianimare il Pil. I tagli alla spesa ci saranno, ma serviranno a finanziare le riduzioni di imposte o nuove spese. L’ordine di grandezza è deciso da tempo: circa 10-12 miliardi di euro di risparmi aggiuntivi rispetto ai tre già previsti quest’anno. Il problema è semmai come raggiungere l’obiettivo.

La richiesta di Renzi ai ministri di fargli avere una proposta che preveda la riduzione dei budget di ciascuno del tre per cento sta incontrando parecchie resistenze. Alcuni si mostrano combattivi, e spiegano che «ormai resta da risparmiare solo sugli stipendi», una tecnica collaudata per far venir meno la determinazione a procedere. Altri fanno i furbi e tentano di mettere la polvere sotto al tappeto: propongono sì i tagli, peccato che si tratti spesso del rinvio di pagamenti ad altre amministrazioni pubbliche.

La Lorenzin (Sanità) lamenta il rischio di tagliare i servizi, Franceschini (Cultura) dice che «il Fondo unico sullo spettacolo non si tocca», la Difesa si erge a muro contro i tagli ai programmi di lungo termine (vedi F35). «Noi non ci tiriamo fuori dal processo – attacca la Pinotti – ma questo va fatto in tutte le amministrazioni con la stessa oculatezza, perché non ci deve essere qualcuno che paga sempre».

Se queste sono le premesse, il problema di Renzi sarà convincere l’Europa a ridurre ulteriormente le tasse con coperture diverse, ad esempio cifrando per alcuni miliardi il rafforzamento della lotta all’evasione. Un’ipotesi che Renzi e Padoan stanno valutando prevede ad esempio di scorporare il reddito d’impresa degli artigiani e dei commercianti dalla tassazione Irpef. Chi non ha una società oggi paga infatti tutto attraverso la tassa sulle persone fisiche; l’idea è quella invece di scorporare il reddito d’impresa e su quello applicare l’aliquota Ires (l’imposta sulle società), nettamente più bassa.

A Palazzo invitano a non dare troppo peso ai proclami di Renzi contro l’Europa, all’insistita determinazione verbale a non volersi «far commissariare». La differenza di vedute con Padoan – che quei controlli li invoca – sarebbe frutto di una strategia studiata a tavolino: quanto più si avvicina il momento delle decisioni difficili, tanto più Renzi non vuole apparire sotto la tutela di Bruxelles. Il premier conosce bene i termini dell’accordo flessibilità-riforme che la Merkel e l’Ue gli propongono: noi chiudiamo un occhio sui conti, voi fate le riforme.

In cima ai pensieri c’è il mercato del lavoro: Renzi è determinato a superare l’articolo 18 introducendo il principio dell’indennizzo monetario – come in Germania – ma sa che in Parlamento dovrà fare i conti anzitutto con le resistenze dei suoi.

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