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Cina: Paulson in missione a Pechino

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Henry Paulson, segretario al Tesoro americano, accompagnato dal governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, si recherà a Pechino oggi per colloqui con le autorità cinesi e la Banca centrale del Paese asiatico. Già alla fine del 2005, il predecessore di Bernanke, Alan Greenspan, accompagna l’allora segretario al Tesoro, John Snow, con l’obiettivo, solo parzialmente raggiunto, di convincere i cinesi a far fluttuare liberamente lo yuan.
Oggi il deficit commerciale americano nei confronti della Cina è di circa 200 miliardi di dollari e il nuovo Congresso potrebbe chiedere l’adozione di misure di protezione per rallentare il flusso delle importazioni cinesi, che salgono a una media annua del 7 per cento. Il mercato cinese è oggetto di una forte competizione da parte degli Stati Uniti e dell’Europa, che al momento sembra andare a vantaggio della seconda.
Le autorità di Pechino dichiarano di essere disposte a discutere una fluttuazione sempre controllata, ma più elastica. Al momento lo yuan è quotato a 7,85 per dollaro, una rivalutazione del 4,5 per cento in poco più di un anno. Ma l’agenda americana è più complessa. Il problema degli Stati Uniti non è infatti solo quello di ridurre il deficit commerciale, ma anche di convincere i cinesi a continuare a mantenere in dollari una parte importante delle riserve, che superano al momento l’equivalente di mille miliardi. Gli altri Paesi asiatici detengono riserve per oltre 2.900 miliardi di dollari e circa 1.200 miliardi sono sotto il controllo dei Paesi esportatori di petrolio per un totale di circa 5.100 miliardi. Il timore di una conversione di queste riserve in altre valute o in oro avrebbe indubbiamente conseguenze drammatiche sull’economia americana, sulla valuta e sui tassi d’interesse e porterebbe in primo piano la questione dell’enorme debito estero statunitense.
È probabile quindi che Paulson e Bernanke cerchino con grande discrezione, e con il minimo di pubblicità, di arrivare a qualche accordo che stabilizzi i rapporti tra Cina e Stati Uniti, ottenendo forse una marginale rivalutazione dello yuan in cambio dell’accesso al mercato americano, sia pure con alcuni vincoli tariffari, il mantenimento di almeno il 60 per cento delle riserve cinesi in dollari. È già in atto un tentativo da parte di vari Paesi, tra cui l’Arabia Saudita e la Russia, di diversificare la composizione delle riserve. Gli americani dovranno inoltre cercare di bloccare l’avvio di un processo per la creazione di un sistema monetario asiatico che comporterebbe seri problemi economici e politici per gli Usa. Agli analisti non sembra del tutto casuale che il cambio tra dollaro ed euro si sia di recente indebolito, a vantaggio della moneta unica di Eurolandia.
Intanto trasporti, poste e affari sono i principali aspetti su cui Taiwan dovrebbe aprirsi alla Cina, secondo quanto dichiarato nei giorni scorsi dal direttore dell’Istituto americano a Taipei, Stephen Young, nel corso di un intervento alla Camera di commercio americana dell’isola. “Tra queste voci — precisa Young — la più importante è quella dei collegamenti diretti”. Al momento, infatti, vista la mancanza di relazioni diplomatiche tra i due Paesi e le mire annessionistiche della Cina, non esistono voli senza scali tra Pechino e l’isola di Formosa (Taiwan). “Quanto più Taiwan — prosegue Young — aspetta a ristabilire i collegamenti, tanto più corre il rischio di isolarsi dal processo in corso di integrazione regionale. Al contrario, ripristinandoli, attirerebbe maggiori investimenti e uomini d’affari”.
Young non esita ad affermare che questa apertura favorirebbe anche gli affari americani nell’area. “Per esempio, sono molte le difficoltà che le aziende statunitensi incontrano quando importano a Taiwan manufatti prodotti in Cina. Allo stesso modo le nostre ditte non riescono a inviare sull’isola il personale per corsi di formazione o incontri di lavoro”. L’interruzione dei collegamenti Cina-Taiwan risale al 1949, alla guerra civile e alla separazione tra la terraferma di Mao e la Cina nazionalista di Chang Kai Shek. Da allora, il modo più comunemente utilizzato per il trasporto delle merci e delle persone da Taiwan alla Cina è il porto di Hong Kong. Le tensioni politiche tra i due Stati e le conseguenti difficoltà di spostamenti non hanno in ogni caso del tutto cancellato gli scambi commerciali. Dal 2002 la Cina è il principale partner di Taiwan. Nei primi nove mesi del 2006 le importazioni hanno un valore di ben 65 miliardi di dollari, con una crescita del 17 per cento sull’analogo periodo dell’anno precedente.