Economia

Che cosa sono i dazi reciproci che vuole Trump

Donald Trump ha firmato ieri un memorandum per l‘implementazione dei dazi reciproci, una misura che il presidente Usa aveva promesso durante la sua campagna elettorale, e che potrebbe scattare già il prossimo 2 aprile, secondo quanto preannunciato dal ministro del commercio Howard Lutnick all’agenzia stampa Bloomberg. La decisione fa parte di una più ampia strategia commerciale, che mira a ridurre il crescente deficit commerciale Usa, che l’anno scorso si aggira intorno a 1.100 miliardi di dollari, e a spingere altri paesi a fare concessioni nelle loro relazioni commerciali con il Paese nordamericano.

Obiettivo finale

Lo sforzo potrebbe portare a tariffe più alte per i principali partner commerciali entro l’inizio di aprile e innescare negoziati con decine di Paesi volti a ridurre le loro tariffe e barriere commerciali. Obiettivo finale: cercare di ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti,

Firmando il memorandum, Trump ha detto che gli Stati Uniti applicheranno dazi ai paesi allo stesso tasso che questi paesi impongono sui prodotti americani.

“Se loro tassano noi, noi tassiamo loro nello stesso modo” ha sentetizzato Trump, che ha inoltre indicato che non ci saranno esenzioni a questi dazi.

Prima di firmare il decreto, il presidente Usa ha spiegato che la reciprocità riguarda anche l’applicazione dell’Iva, ” considerata alla stregua dei dazi”. Ma non finisce qui. Nell’escalation delle guerra commerciale, il neo presidente Usa ha spiegato che presto arriveranno i dazi anche sulle auto, che si andranno ad aggiungere alle tariffe reciproche.

Che cosa sono i dazi reciproci

La politica delle tariffe reciproche annunciata Trump mira a imporre tariffe equivalenti sulle merci che entrano negli Stati Uniti da paesi che tassano le esportazioni americane. In altre parole, l’idea alla base è dunque quella di pareggiare i conti, compensando quelle che vengono percepite come pratiche commerciali sleali.

Da un punto di vista pratico, si tratta di un’impresa enorme, che punta ad esaminare, e anche in tempi brevi, più di 17.000 codici di prodotti tariffari di prodotti importati, per ciascuno dei 186 Paesi che al momento godono dello status commerciale di Paese più favorito con gli Stati Uniti.

Qualche esempio per capire meglio: il Brasile applica un dazio del 18% sull’etanolo statunitense, mentre gli Stati Uniti consentono all’etanolo brasiliano di entrare sul mercato americano in gran parte senza tariffe, secondo l’American Biofuels Association. In base al nuovo piano dell’amministrazione repubblicana Usa, ci sono due possibili strade: o la tariffa statunitense sale per eguagliare quella brasiliana, oppure la tariffa brasiliana scende al livello degli Stati Uniti.

Situazione di squilibrio si verifica anche con l‘Unione Europea, che riscuote un dazio del 10% sulle importazioni di veicoli, quattro volte la tariffa statunitense sulle autovetture del 2,5%, anche se la tariffa Usa sui pick-up altamente redditizi è pari al 25%.

Come saranno applicati

Individuati i Paesi e merci, si tratta poi di capire come procedere. Gli economisti di Goldman Sachs Alec Phillips ed Elsie Peng hanno delineato tre possibili approcci. Il primo, la “reciprocità a livello di Paese” è quello “più semplice”, e prevede che gli Stati Uniti impongano le stesse tariffe medie che i partner commerciali applicano alle merci statunitensi. La “reciprocità a livello di prodotto per Paese” consiste nell’imposizione di “tariffe progressive su base merceologica per ogni partner commerciale”. Terza via, la più complicata, la “reciprocità che include le barriere non tariffarie” è l’approccio “più difficile”, in quanto comprenderebbe una complicata trama di fattori da considerare, tra cui le tasse di ispezione e le imposte sul valore aggiunto (IVA).

Paesi nel mirino

Le ultime misure annunciate da Trump potrebbero avere conseguenze di vasta portata. Dopo Messico, Canada e Cina, questa volta nel mirino dell’amministrazione americana, ci sarebbe anche l’Unione europea e, di conseguenza, l’Italia. In più occasioni, l’inquilino della Casa Bianca ha sottolineato la disparità di trattamento nelle relazioni commerciali Ue-Usa. E lo ha fatto anche ieri, dicendo che l’Unione Europea si comporta in modo “assolutamente brutale” nelle relazioni commerciali con gli Stati Uniti. Ci sarebbero poi Paesi Brics con dazi al 100% se dovessero scaricare il dollaro.

Nel 2024, come anticipato, gli Stati Uniti hanno registrato deficit commerciali con nove dei suoi primi 10 partner commerciali, per un totale di quasi 1,1 trilioni di dollari. Questi deficit includono: Cina (295,4 miliardi di dollari), Messico (171,8 miliardi di dollari), Vietnam (123,5 miliardi di dollari), Germania (84,8 miliardi di dollari), Taiwan (73,9 miliardi di dollari), Giappone (68,5 miliardi di dollari), Corea del Sud (66 miliardi di dollari), Canada (63,3 miliardi di dollari) e India (45,7 miliardi di dollari).

Gli Stati Uniti hanno registrato anche un deficit di 86,7 miliardi di dollari con l’Irlanda, il loro undicesimo partner commerciale. Tuttavia, con il Regno Unito, il nono partner commerciale degli Stati Uniti nel 2024, c’è stato un surplus di circa 10 miliardi di dollari.

Effetti sull’Italia

Gli Stati Uniti rappresentano la principale destinazione extra-UE per le esportazioni italiane di beni e servizi. Nel corso del 2024, le vendite di beni italiani negli Stati Uniti hanno raggiunto circa 65 miliardi di euro, generando un surplus commerciale di quasi 39 miliardi.

Simulazioni condotte da Prometeia prima delle elezioni americane stimano che i costi aggiuntivi per l’Italia potrebbero variare da oltre 4 miliardi di euro, ipotizzando un aumento di 10 punti percentuali solo sui prodotti già soggetti a dazi, a 7 miliardi di euro nel caso di un aumento generalizzato dei dazi di 10 punti percentuali.

Alessandro Terzulli, chief economist di Sace, ha spiegato che, se Trump dovesse decidere di imporre dazi superiori a quelli già in vigore (60% per la Cina e 10% per gli altri partner commerciali), come promesso durante la campagna elettorale, gli effetti negativi si inizierebbero a percepire a partire dal 2026.

In risposta all’annuncio di Trump, l’Unione Europea, il Canada e il Messico hanno già preparato contromisure volte a infliggere danni economici agli Stati Uniti. La Cina ha risposto con proprie tariffe su energia, macchinari agricoli e auto di grossa cilindrata provenienti dagli Stati Uniti, oltre ad avviare un’indagine antitrust su Google.