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Certificati in tempo di crisi: rischio o opportunità?

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di Giovanna Matarese, consulente finanziario di Genova

 

La tempesta Covid-19 che si è abbattuta sui mercati con una volatilità (VIX a 85 punti) a livelli registrati solo nel 2008, non ha risparmiato nessuno strumento finanziario, nemmeno i prodotti obbligazionari a breve termine da sempre percepiti come i più sicuri. L’esplosione della volatilità, da cui dipende il valore delle opzioni che strutturano i certificati stessi, non ha risparmiato neanche questi prodotti.
Chi si fosse avvicinato all’investimento in certificati nel 2019, apprezzando la stabilità dei “capitale protetto” o la distribuzione periodica di ricche cedole dei “cash collect” potrebbe pensare oggi di trovarsi in mano un ordigno esplosivo e potrebbe essere tentato di sbarazzarsene il più velocemente possibile, a qualunque costo: la fretta è una cattiva consigliera, vediamo perché.

Occorre approfondire le caratteristiche dello strumento che si ha in portafoglio o, se non ci si è mai avvicinati a questo strumento, considerarne le potenzialità: il ruolo del consulente è fondamentale per interpretare le reali esigenze del risparmiatore.

In finanza “nessun pasto è gratis” e chi ha scelto i prodotti più remunerativi, ad esempio a barriera continua, con i crolli del 10 % registrati in una sola seduta ha visto dissolversi il proprio capitale.
Tuttavia, sul mercato vi sono prevalentemente prodotti con barriera a scadenza (discreta) decisamente meno rischiosi dei precedenti.

Addirittura, per chi non è propenso al rischio esistono certificati a capitale protetto che, abbinano alla garanzia del 100% del capitale, una remunerazione in linea con i tassi di mercato.
Per chi è disposto ad assumere più rischio, esistono certificati a capitale condizionatamente protetto che consentono di prendere posizione su indici azionari o titoli specifici con la possibilità di ottenere un buon rendimento a patto che questi sottostanti non perdano più del 40%-50% rispetto ad un valore prefissato. La rilevazione di questi dati è posticipata al 2024 o al 2025.

Facciamo un esempio su un certificato già sul mercato:

Supponiamo di avere investito 10.000,00€

in azioni Generali:
• il 19/02 valeva 18,82€ 10.000,00€
• il 18/03 vale 10,87€ (ossia registra un -42%) 5.800,00€

In Certificato Condizionatamente Protetto sul titolo Generali (Scadenza 2024, livello barriera a 11,1265€, premio del 4,85% annuale, barriera a scadenza, Strike 15.895)
• Il 19/02 valeva 104,46 10.000,00€
• Il 18/03 vale 38,91 (ossia registra un -62%) 3.800,00€
Il meno 62% del certificato è dovuto al fatto che, con la rottura della barriera, si azzera il valore delle opzioni esotiche ed il certificato incorpora il solo valore dell’opzione che replica il sottostante al netto dei dividendi.

Se ho investito nell’azione Generali
per ritornare ad avere il capitale investito (10.000,00€) l’azione deve tornare a 18,82 (cioè deve salire circa del +73%)

Se ho investito nel Certificato Condizionatamente Protetto sul Titolo Generali
per ritornare ad avere il capitale investito + un premio di circa il 24% (12.400,00€) è sufficiente che Generali alla scadenza del 2024 abbia una quotazione superiore a 11,1265€, (cioè il + 2,4% rispetto alla quotazione di 10,87€).
Se alla scadenza del 2024 l’azione Generali varrà meno di 11,1265€ il certificato rimborserà registrando la stessa perdita del sottostante.

Appare evidente che questa operazione rappresenta una valida alternativa all’investimento diretto in singole azioni o indici azionari e quindi non aggrava il profilo di rischio del risparmiatore in quanto prevede una protezione seppur condizionata che gli investimenti descritti non hanno.
Ecco quindi come un “ordigno esplosivo” può trasformarsi in “scialuppa di salvataggio” per navigare i mari agitati della finanza.