Per il momento, e fino al termine del 2020, la Brexit non ha prodotto grossi cambiamenti fra Regno Unito e Unione Europea. Certo, i parlamentari britannici hanno abbandonato l’emiciclo di Bruxelles e nuovi negoziati per la definizione dei rapporti commerciali fra le due aree economiche sono pronti a cominciare. Nei corridoi del Parlamento europeo, però, la questione più impellente gira tutta intorno ai soldi.
I contributi netti che il Regno Unito ha finora versato nelle casse di Bruxelles e che verranno a mancare ora che Brexit è finalmente cosa fatta. Era di circa 7,8 miliardi di sterline (9,3 miliardi di euro) il saldo fra le somme che Londra versava ogni anno e quelle che riceveva indietro dall’Unione Europea. I leader europei sono al lavoro su come colmare questo buco, o di quanto ridurre il budget per far tornare i conti.
Oggi, giovedì 20 febbraio, si è tenuto un “incontro di emergenza” fra i leader dell’Unione il cui ordine del giorno prevedeva proprio la questione del budget europeo e di come organizzarlo alla luce dei minori contributi complessivi. Il budget, che viene elaborato a scadenza settennale, risentirebbe di un ammanco di circa 60-75 miliardi euro nel suo intero “ciclo di vita” a causa della Brexit. E’ quanto affermato da un funzionario europeo che ha parlato in condizioni di anonimato all’emittente Cnbc.
“La situazione non migliorerà nel tempo”, ha detto la fonte, “stiamo fronteggiando nuove sfide e priorità e gli stati membri hanno una disponibilità budget ristretta; pertanto serve realismo”.
Un negoziato che ci riguarda da vicino
Verosimilmente, il negoziato sul nuovo budget sarà un braccio di ferro fra i membri che ricevono più di quello che versano e gli stati che si trovano nella situazione opposta (fra questi, l’Italia). L’addio del Regno Unito, e la riduzione dei contributi disponibili per il budget europeo, potrebbe suggerire un suo ridimensionamento. Meno denaro, budget meno generoso. Se si optasse per questa soluzione, però, il peso dell’addio britannico ricadrebbe in proporzione maggiore proprio su quei Paesi, che attualmente versano meno di quello che ricevono dall’Ue.
Questo gruppo di 15 stati membri, i cosiddetti Amici della Coesione, vede fra le sue file Spagna, Portogallo, Grecia e Polonia. Paesi che, da un eventuale taglio ai Fondi di Coesione europei, nati per aiutare le aree più arretrate dell’Unione, avrebbero solo da perdere. Per lasciare invariate le cose, invece, sarebbe necessario un incremento delle spese per il budget Ue da parte di tutti i Paesi, con maggiori ricadute negative per i contributori netti, che si farebbero carico della quota un tempo versata da Londra.