Economia

Broker di Londra costretti alla chiusura, la City si scopre fragile

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Londra – Tempi duri per i broker Oltremanica. Il premier inglese, David Cameron, avrà anche sbattuto la porta in faccia alle nuove regole fiscali adottate da Bruxelles qualche settimana fa, ma di certo Londra non naviga in buone acque. La crisi del debito sovrano morde feroce la City: i suoi trader si leccano le ferite. E con la concorrenza di società di investimento straniere – dicono in molti – la situazione è destinata a diventare ancora più difficile.

Non ha difficoltà ad ammetterlo Tim Linacre, che ha deciso di rassegnare le sue dimissioni, lasciando la poltrona di amministratore delegato di Panmure Gordon & Co: “E’ un deserto ormai per le attività di trading – ha spiegato a Bloomberg – per questa ragione sempre più aziende hanno intenzione di gettare la spugna”.

Solo nell’ultimo mese Altium Capital ha chiuso i battenti, mentre Evolution Group, Merchant Securities Group, Arbuthnot Securities e Collins Stewart hanno accettato, per sopravvivere, di essere acquisite da gruppi concorrenti più grandi. “E’ un momento terribile quello che stiamo attraversando”, ribadisce anche Lorna Tilbian, direttore generale di Numis dove ha iniziato la sua carriera nel 1984. “Sono sempre di più le persone che decidono di alzare bandiera bianca”.

Le aziende vengono spremute all’osso dalla crisi del debito sovrano: vedono ridursi sempre di più le attività di trading. Tanto che le commissioni pagate ai broker in Europa dovrebbero risultare in picchiata del 17% quest’anno rispetto al 2008, secondo quanto previsto dalla società di ricerca Westborough.

Basta guardare la performance dell’indice di riferimento del listino inglese per avere la situazione chiara. Il Ftse 100 ha perso il 12% del suo valore dai massimi toccati a febbraio lo scorso anno. Il valore delle azioni scambiate nei primi tre mesi del 2011 si è ridotto del 63% dal picco del 2007. “Ormai la clientela si sta assottigliando e le case di investimento sono sempre più in lotta fra di loro”, denuncia anche Stephen Dainton, alla guida del team azionario di Credit Suisse a Londra.

“Per le boutique piccole è davvero dura. Noi possiamo giocare la carta della diversificazione dei prodotti e quella geografica”. Forse però non basterà nemmeno questo. La crisi ha, infatti, ingegnato i clienti: adesso un terzo del fatturato delle contrattazioni si è trasferito nelle cosiddette dark pool, ossia su piattaforme di trading algoritmico. E per le case di investimento la trincea continua.