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BORSA: CHE TUTTI SIANO SOTTO-INVESTITI NON E’ UNA GARANZIA DI RIALZO CERTO

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimerufficiale di WSI.

(WSI) – Il mio primo Quarantacinque per Cento, potrebbero intitolarsi gli appunti, come ho vissuto il balzo del MSCI World Index da 688 a 1000 in meno di tre mesi.

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Ho dovuto assistere la zia malata, mi si è allagata la cantina, ho avuto una riunione dietro l’altra, il tempo è volato, avevo comunque qualche azione avanzata dal bull market precedente, nelle ultime settimane ho compricchiato qualcosa, ho resistito a quelli che dicevano di vendere al primo recupero, i dati macro sono comunque sempre usciti con segno negativo, Roubini ha detto che è solo l’ennesimo rally degli sciocchi, nel 1932 il bear market rally fu addirittura dell’ottanta per cento e poi ci fu un nuovo minimo, insomma che cosa volete da me, è già tanto che non abbia chiuso il fondo o fatto bancarotta e in ogni caso voglio vedere chi ha visto davvero crescere il proprio patrimonio complessivo (e non quello sparuto ETF di cui mena gran vanto con gli amici) del 45 per cento dal 9 marzo a oggi.

L’elenco delle possibili giustificazioni è infinito e qui non si vogliono risvegliare i sensi di colpa o di inadeguatezza. Si vuole solo ricordare che (come ha titolato brillantemente JP Morgan la sua View del 29 maggio), il mondo ha perso il rally.

Macinando parecchi numeri e buttandosi in qualche stima, la View sostiene che il portafoglio dell’Investitore Medio Globale è oggi per il 32.5 per cento in cash e per il 49.1 in reddito fisso. Le azioni rappresentano solo il 18.4 per cento, contro la media degli ultimi vent’anni del 27.3 per cento. E si parla dell’oggi, non di tre mesi fa.

Di per sé un mondo sottoinvestito non è una garanzia di rialzo. Se al sottopeso si accompagna però una veloce stabilizzazione del ciclo e qualche primissimo segnale di aumento della produzione industriale fuori dall’Asia (dove il recupero è già molto forte) si può essere indulgenti verso un rialzo azionario che non riesce a fermarsi e che, qua e là, produce qualche eccesso temporaneo.

Più avanti, quando l’effetto inebriante dei segni positivi sarà svanito e il recupero della produzione, pur impressionante, sarà visto nel suo valore assoluto e non come variazione dai minimi, ci sarà tempo e modo per una maggiore sobrietà. Nel frattempo, però, l’effetto combinato dei dati in miglioramento e della corsa a ribilanciare i portafogli manterrà un bias positivo con ritracciamenti limitati in durata e profondità.

Il consolidamento delle ultime sedute, ad esempio, sembra destinato a produrre danni modesti all’azionario e permette alla parte lunga dei bond governativi di riprendersi dall’ipervenduto dell’ultimo periodo. La psicosi del crescente indebitamento pubblico americano, della sua monetizzazione e del conseguente crollo del dollaro si è prodotta del resto su un terreno astratto, concettuale e a tratti leggermente allucinatorio.

Si parla in modo concitato d’inflazione con almeno un anno di anticipo rispetto ai primi eventuali deboli segnali di ripresa dei prezzi che si manifesteranno all’inizio del 2011. Si parla di esplosione insostenibile dello stock di debito pubblico americano quando le proiezioni della Fed lo indicano al 70 per cento del Pil nel 2011, il livello della Germania già oggi. Si sussurra e grida sulla monetizzazione senza freni del debito pubblico e Bernanke fa sommessamente notare che la Fed ha meno titoli del Tesoro oggi di quanti ne abbia mai avuti negli ultimi anni. Ci si allarma sull’incessante creazione di moneta quando la base monetaria americana è sugli stessi livelli di sei mesi fa.

Può darsi che, nel vendere bond governativi e dollari, il mercato abbia qualche intuizione giusta di lungo termine, ma le razionalizzazioni che circolano vanno largamente fuori bersaglio. Sul dollaro, ad esempio, la rassegna settimanale sui cambi di Morgan Stanley fa una disamina accuratissima delle debolezze americane, con tanto di modellizzazione di tutti i fattori possibili immaginabili e con un interessante giro di opinioni tra i suoi esperti di ogni asset class e di ogni continente sulle conseguenze di un eventuale crollo del dollaro. Poi, dopo molte pagine di analisi, dedica pochissime righe allo stato del resto del mondo. Come se il cambio, ad esempio quello tra dollaro ed euro, dovesse esprimere una valutazione degli Stati Uniti e non una valutazione congiunta di Stati Uniti ed Europa. Il cambio è un rapporto, dopo tutto.

Un’altra paura fuori bersaglio, con tanto di valutazione strabica, è quella che qualche anno di forti disavanzi pubblici americani sia la possibile causa del dissesto americano prossimo venturo. Quello che ha sempre preoccupato Greenspan e ora preoccupa Bernanke non è questo o quel disavanzo straordinario, reversibile rapidamente come si vide nei primi anni Novanta, bensì quello di cui i mercati non parlano mai, il dissanguamento strutturale e inarrestabile da spesa sanitaria e pensionistica.

Così come appare strabico il concentrarsi ossessivo sul debito pubblico senza considerare che la sua crescita non riesce nemmeno a bilanciare la decrescita di quello privato, tanto che il saldo complessivo, espresso dal saldo delle partite correnti, mostra un’America che ha sempre meno bisogno di essere finanziata dal resto del mondo.

In realtà, nel breve, il dollaro scende perché si riprende tutti quanti a fare il carry trade. Che cosa c’è di più bello che indebitarsi in dollari (vendendoli) a tasso zero per comprare il real brasiliano o addirittura, come fanno le banche russe non appena la banca centrale gira l’occhio, per comprare rubli? O indebitarsi in dollari per comprare le borse emergenti? Tutto come ai bei tempi, insomma, ma è un segno di salute del mondo, non di chissà quale debolezza dell’America.

Questa America alla fine dei suoi giorni, del resto, sta ricapitalizzando le sue banche a una velocità che vorremmo davvero vedere anche in Europa. La Fed non dà tregua. Dà un obiettivo di ricapitalizzazione a una banca, questa lo raggiunge subito sperando di essere lasciata in pace per qualche tempo e la Fed gliene dà immediatamente uno nuovo. La Fed ingozza le sue oche, non vuole che restituiscano i soldi pubblici che hanno avuto nei mesi scorsi, vuole che abbiano sempre più capitale affinché, per farlo rendere, si decidano a fare credito. L’emissione continua di nuove azioni da parte delle banche ne deprime temporaneamente il corso, ma a livello di sistema accelera la fuoruscita dalla crisi.

Venendo alle strategie d’investimento, ribadiamo che chi ha una visione a 12-24 mesi deve continuare a comprare rischio una quota ogni mese. Bisogna pensare al ciclo economico positivo che sta avviandosi come a qualcosa che avrà un andamento in accelerazione regolare. Non sarà così, naturalmente, ma provare a fare i virtuosi con un fine tuning dei sottocicli non è detto che convenga.

C’è su Youtube, per gli appassionati di tecnologia, l’animazione di un progetto cui sta lavorando un ingegnere taiwanese. E’ il treno che non si ferma mai. Il treno va a una velocità costante, mettiamo, di 100 chilometri l’ora. Quando si avvicina a una stazione, i passeggeri che devono scendere si portano su una navetta in fondo al convoglio, la navetta si stacca e si arresta. Parallelamente, in stazione, un’altra navetta raccoglie i passeggeri in partenza e parte veloce per agganciarsi al treno in corsa. Questo è il ciclo per chi non fa “fine tuning”.

Chi vuole farlo potrà invece tentare di cavalcare il modesto consolidamento in corso, sfruttando il dato sull’occupazione di venerdì e il meritato ritracciamento del greggio, che si porta dietro i titoli surriscaldati di energia e materie prime. La pausa durerà quel tanto che occorrerà a ridare tono ai Treasuries. Poi, altri dati macro incoraggianti che si susseguiranno nelle prossime settimane indurranno altri sottopesati a ribilanciarsi. Il consolidamento vero sarà un poco più avanti.

Come diceva il grande Bob Farrell, i mercati lavorano instancabilmente per produrre il massimo di infelicità in chi li frequenta. Salgono quando tutti ne sono usciti e scendono quando tutti hanno finito di entrare. Perché ci sia un consolidamento serio bisogna prima che entri ancora qualcuno.
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