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Boom fusioni Jumbo. Ma più per tagliare costi che per crescere

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ROMA (WSI) – Quanto stanno investendo le società di tutto il mondo per crescere? E, soprattutto, oltre a tagliare i costi, stanno investendo? Il quadro corporate mondiale sembra positivo: a Wall Street, la stagione degli utili si sta rivelando migliore delle attese (che comunque erano molto ribassiste per il primo trimestre dell’anno), mentre in Europa non mancano notizie aziendali positive. Ancora, le attività di fusioni e acquisizioni (merger & acquisition, M&A) hanno iniziato il 2015 al ritmo più veloce dal 2007. Stando ai dati di Dealogic riportati dal Financial Times, i volumi degli accordi conclusi oscillano di fatto vicino ai $1.300 miliardi, soltanto per i primi quattro mesi dell’anno.

Nello specifico, si sono messi in evidenza soprattutto gli accordi “jumbo”, ovvero quelle fusioni che hanno un valore superiore ai $5 miliardi, e che hanno inciso per il 43% di tutte le operazioni, al massimo dal 1999.

Ma la febbre M&A è sempre sinonimo di buone condizioni di salute delle società coinvolte? William Vereker, responsabile della divisione di investment banking di Europa, Medio oriente e Africa presso UBS, commenta: “In un contesto dove i costi sono stati già ridotti e le aziende faticano a crescere, l’M&A è un modo per creare maggior fatturato. I cda e i dirigenti diventano sempre più fiduciosi e hanno il sostegno degli azionisti”.

Il punto, si chiede Vadim Zlotnikov, responsabile strategist degli investimenti presso AllianceBernstein, che gestisce asset per $474 miliardi, è quale sia il significato di queste operazioni, dal momento che se è vero che i margini dei profitti in qualsiasi regione sono a livelli record, i livelli del fatturato rimangono deboli. “Le società hanno migliorato l’efficienza con cui gestiscono gli affari. E tuttavia, sono colpito da quanto una buona parte di questi accordi venga conclusa soprattutto per tagliare le spese e gli investimenti, dunque per ragioni di costi, più che per perseguire una visione brillante di sinergie di crescita”, ha detto.

E, di fatto, l’elenco è lungo.

Royal Dutch Shell ha dichiarato che il suo obiettivo è quello di ottenere risparmi sui costi di $2,5 miliardi nel 2018, grazie all’acquisizione della sua rivale BG Group, produttrice di petrolio e gas naturale, per $82 miliardi inclusi i debiti.

Nokia, il colosso finlandese produttore di attrezzature networking, ha reso noto che ridurrà i costi di 900 milioni di euro entro il 2019, sulla scia dell’acquisizione da $15,9 miliardi della francese Alcatel-Lucent.

E perfino il guru degli investimenti Warren Buffett si è trovato costretto a difendere i suoi rapporti con il gruppo di private equity brasiliano 3G, in occasione della riunione annuale di Berkshire Hathaway, la scorsa settimana. Oggetto di conversazione l’accordo siglato, con cui Heinz, il colosso Usa controllato da Buffett, e 3G hanno acquistato il gigante Kraft, al fine di creare una società con un valore superiore a $100 miliardi, inclusi i debiti.

Sia Buffett che 3G hanno affermato che l’obiettivo è di risparmiare costi per $1,5 miliardi entro la fine del 2017.

Tutto ciò avviene in un contesto in cui la crescita delle vendite rimane incerta sia per le società europee che americane, e nonostante i prezzi più bassi del petrolio, che dovrebbero incentivare gli acquisti dei consumatori.

Stando a quanto riporta S&P Capital IQ, le società i cui titoli sono quotati sull’indice S&P 500 dovrebbero soffrire una crescita negativa del fatturato, sia per il primo che per il secondo trimestre dell’anno. Nick Lawson, responsabile delle strategie presso Deutsche Bank, sottolinea che “le attività di M&A nascondono una moltitudine di peccati. C’è davvero assenza di ambizione in termini di spese di capitali: assenza che prima è stata nascosta dai buyback e ora dalle fusioni e acquisizioni”. (Lna)

Fonte: Financial Times