Economia

Banche verso l’accordo sindacale o la desertificazione?

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L’innovazione tecnologica corre veloce e, per stare al passo, anche le banche premono l’acceleratore sulla digitalizzazione. Ma non tutti sono agevolati dalla sostituzione dell’uomo in favore delle macchine. Si pensi ad esempio ai quasi 14 milioni di italiani over 65 anni, meno abituati all’utilizzo dei dispositivi elettronici. O ai 45.613 dipendenti bancari persi dal 2012 al 2021 in Italia, pari al 14,2% del totale, a causa anche delle numerose fusioni tra istituti.

Un settore già sotto la lente in queste settimane a causa del domino di crisi scatenato dagli aggressivi rialzi dei tassi delle banche centrali, croce e delizia per le banche. Delizia perché, dopo anni di tassi negativi, le banche possono tornare a guadagnare sul margine di interesse. Croce perché aumenti dei tassi significano compressioni del valore delle obbligazioni nei bilanci, che in alcuni casi hanno eroso i capitali di garanzia.

Alla vigilia del mese di aprile, che vedrà impegnati i sindacati Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin nel tavolo negoziale con Abi per rinnovare il contratto nazionale dei bancari (il cui termine di scadenza lo scorso 28 febbraio era stato sospeso fino al prossimo 30 aprile) che interessa quasi 270 mila lavoratori, viene da chiedersi: è corretto parlare di desertificazione bancaria? Può essere considerata un ulteriore segnale di crisi del sistema?

Le banche italiane stanno scomparendo?

Iniziamo dai numeri. Da un’analisi di Fabi, la Federazione autonoma dei bancari italiani, relativa al 2022, è emerso come siano 4 milioni gli italiani senza banca e come il 7% della popolazione italiana abiti nei 3.062 comuni in cui non sono presenti agenzie bancarie. Percentuale che, tuttavia, presenta vistose differenze su base geografica: se al Nord la “desertificazione” bancaria interessa il 6% della popolazione, al Centro il fenomeno risulta più circoscritto (3,2%), mentre al Sud e nelle isole, dove la questione è decisamente più marcata, i cittadini che non hanno più un’agenzia bancaria “sotto casa” né a distanza contenuta rappresentano il 10,7% dei residenti. La Campania è la prima regione per numero di abitanti senza banca: sono quasi 700 mila.

Tutto ciò è frutto della progressiva chiusura delle agenzie da parte delle banche: gli sportelli, 32.881 nel 2012, a fine 2021 erano 21.650, in calo di 11.231 unità (-34%). Tra le regioni più grandi, quella che presenta una minore presenza di banche, in termini percentuali, è la Calabria, col 28,8% dei cittadini residenti in territori non coperti da agenzie bancarie. Poi, a seguire: Piemonte (13,8%), Abruzzo (12,6%), Campania (12,5%). Fra le regioni più piccole, il record è del Molise (37,3%) seguita dalla Valle D’Aosta (33,4%). Nelle isole, la desertificazione bancaria interessa il 6,7% della popolazione in Sicilia e il 6,1% in Sardegna. Emilia Romagna e Toscana sono, invece, le regioni che presentano il maggior tasso di bancarizzazione del territorio nazionale: la popolazione che risiede in comuni senza banche, infatti, corrisponde, rispettivamente, solo all’1,2% e all’1,5% del totale. In termini assoluti, la regione con il maggior numero di comuni senza banche è il Piemonte, seguita da Lombardia e, più staccate, Calabria, Campania, Lazio e Abruzzo.

Ciò rappresenta un problema assai rilevante se si pensa che in Italia lo sviluppo dell’e-banking è ancora scarso rispetto alla media europea: meno della metà della clientela bancaria (45%) utilizza i canali digitali per accedere ai servizi bancari, contro una media del 58% e rispetto a grandi potenze economiche, come Spagna e Francia, che hanno tassi di clientela avvezza alla banca digitale pari al 65% e al 72%; il nostro Paese è allineato a realtà come Grecia (42%) e Turchia (46%).

Dalla ricerca, realizzata incrociando i dati statistici della Banca d’Italia e dell’Istat aggiornati a fine 2021, emerge, dunque, il vistoso allontanamento delle banche dai territori. Così, mentre quasi tutte le banche si affrettano a chiudere le agenzie, c’è una fetta rilevante della popolazione italiana che di fatto è dimenticata: una situazione che inevitabilmente creerà enormi disagi anche di tipo pratico sia per le famiglie sia per le imprese, specie quelle più piccole. Alcuni servizi semplici e basilari si prestano infatti ad essere erogati online, ma i servizi più complessi, come la richiesta di finanziamenti e la consulenza per gli investimenti, possono funzionare solo se proposti da un professionista in carne e ossa, che sappia ascoltare e carpire anche le esigenze latenti dei clienti. Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, a WSI Smart Talk ha ammonito:

“La desertificazione bancaria può provocare da un lato un forte limite nell’accesso ai servizi bancari. Dall’altro può spingere la clientela fuori del circuito finanziario legale e, quindi, dell’economia, a vantaggio di organizzazioni criminali, usura e di tutte quelle attività finanziarie illegali che riescono sempre ad approfittare di situazioni di disagio e difficoltà economica, con conseguenti danni per la crescita del Paese e anche per le finanze pubbliche in termini di minor gettito nelle casse dello Stato”.

L’opinione di Fabi

Secondo Sileoni, le banche devono “mantenere, non solo a parole, una presenza sociale vera sul territorio. Inoltre la mia banca ideale, come succede ad esempio negli Stati Uniti, dovrebbe sostenere le idee di giovani imprenditori illuminati anche in assenza di garanzie economiche. Le banche statunitensi al loro interno vantano infatti le professionalità giuste per valutare se un’idea può svilupparsi o no e auspico che accada anche in Italia. Poi favorirei un ricambio generazionale molto forte, quindi darei la possibilità ai giovani che hanno voglia di specializzarsi all’interno delle banche di fruire di momenti di formazione strutturata e specifica. Infine, eviterei soprattutto la corsa alla vendita di prodotti finanziari e assicurativi, che produce pressioni commerciali pericolose sui responsabili di sportello”.

Da questi dati e parole emerge sicuramente l’importanza sociale del sistema banche e la centralità delle persone che contribuiscono alla sua crescita, ma il caso Intesa Sanpaolo dimostra che non è necessario stravolgere i modelli di business per abbracciare il cambiamento. È sufficiente adattarli gradualmente alle rivoluzioni in atto con una visione aperta. Lo stesso Sileoni ha confermato questa prospettiva:

“Siamo qui per portare a casa un risultato, non per fare guerre di bandiera. Essendo il sindacato di categoria, dal punto di vista economico chiediamo un contratto che permetta di recuperare almeno il potere d’acquisto mangiato dall’inflazione. E poi vogliamo un contratto che corrisponda alla realtà dei cambiamenti in atto. Quindi, se un gruppo bancario che ha una sua struttura e una sua dimensione chiede espressamente alle organizzazioni sindacali di avere più libertà di movimento nel contratto, noi siamo disposti a metterci a tavolino per discuterne ed esaudire quanto richiesto. Quando presenteremo la piattaforma sindacale, ancora in via di definizione con le altre organizzazioni sindacali, saranno esplicitate le richieste dal punto di vista economico e normativo e gli argomenti che dovranno essere affrontati in sede di singola azienda o Gruppo bancario. Fino a quel momento è impossibile stabilire le posizioni di banche e sindacati”.