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Azioni: per Cooperman troppo debito, rimarranno invischiate per anni

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Secondo l’opinione più comune i prossimi anni vedranno crescere il mercato azionario soprattutto perché le controparti a reddito fisso avranno un profilo rischio/rendimenti particolarmente basso. Il contesto dei tassi ultrabassi, dunque, favorirebbe le azioni, benché già estremamente “care” rispetto alla media storica.

Azioni, cosa pensa Leon Cooperman

Secondo l’investitore miliardario Leon Cooperman, presidente dell’Omega Family Office, non è detto che le azioni possano regalare grandi soddisfazioni nei prossimi anni. Il debito creato nel corso di questa crisi, infatti potrebbe essere un’eredità più gravosa di quello che attualmente gli investitori stanno di temere.

“Penso che la realtà lampante sia che la Fed sta creando questo ecosistema fatto di soldi gratis. Devi valutare se ciò sia giustificato, per quanto tempo durerà e quale impatto avrà sulle prospettive a lungo termine”, ha detto Cooperman a Cnbc, “a lungo termine, probabilmente ho un’opinione dissenziente rispetto a Wall Street perché sono preoccupato: chi pagherà la festa quando la festa sarà finita?”, ha aggiunto l’investitore.

Nonostante Cooperman abbia affermato che le valutazioni attuali sarebbero, a suo dire, corrette, il presidente di Omega Family Office ha osservato i precedenti del passato, e non ne ha tratto lezioni incoraggianti. “Sono tornato indietro e ho guardato. Ogni volta che si fosse entrati nell’S&P 500 quando i titoli erano prezzati 22 volte tanto i profitti societari o più, il tuo rendimento quinquennale successivo sarebbe stato vicino allo zero. Quindi non sarei sorpreso se il mercato fosse in media molto poco”, ha detto Cooperman.

 

Il debito creato per sostenere l’economia difficilmente poteva essere evitato, ha fatto capire Cooperman, ma questo non significa che non ci saranno conseguenze: “C’è troppo debito nel sistema, è credo che alla fine questo sarà un problema”.

Un pensiero analogo è stato espresso anche dagli analisti di Intesa Sanpaolo nei riguardi del caso italiano, in cui l’incremento dello stock di debito condanna il Paese a dipendere dal sostegno della Bce, che al momento detiene oltre 25% dei titoli di stato italiani in circolazione.