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Azionario: il mercato toro secolare è vicino?

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All’inizio del decennio scorso ho scritto che saremmo stati fortunati se l’economia degli Stati Uniti fosse cresciuta ad un 2% per tutto il decennio. Anche se sono stato paragonato ad un orso grosso e cattivo, al momento scopriamo che ero particolarmente ottimista. L’economia è cresciuta del 1,7%.

Quando mi è stata posta la medesima domanda per quanto riguarda questo decennio, ho cautamente detto che saremo fortunati se cresceremo al 2% l’anno durante tutto questo decennio, il che ha contribuito nell’affibbiarmi l’appellativo di ribassista. Ora mi trovo ancora una volta ad essere il più ottimista tra alcuni dei miei colleghi.

L’estate scorsa Bill Gross (Chief Investment Officer di PIMCO) aveva previsto che l’economia degli Stati Uniti sarebbe cresciuta solo del 1,5% all’anno nel corso del prossimo decennio. Recentemente Jeremy Grantham di GMO (uno dei miei idoli nel settore degli investimenti) ha scritto un articolo intitolato “Sulla strada della crescita pari a zero” in cui si prevede che “Nel futuro la crescita del PIL (convenzionalmente misurato) negli Stati Uniti sarà probabilmente di solo 1,4% all’anno, mentre la crescita aggiustata con l’inflazione sarà pari solo allo 0,9%.”

Inoltre il Dr. Robert Gordon un economista molto rispettato, ha scritto un articolo per il National Bureau of Economic Research dal titolo provocatorio “Is U.S. Economic Growth Over? Faltering Innovation Confronts the Six Headwinds” Riporto un breve stralcio:

Anche se in futuro l’innovazione dovesse continuare allo stesso ritmo degli ultimi due decenni che hanno preceduto il 2007, gli Stati Uniti dovrebbero affrontare sei capisaldi che limitano per almeno la metà la crescita a lungo termine che è stata pari al 1,9 per cento annuo tra il 1860 e il 2007. Questi fattori includono la demografia, l’istruzione, la disuguaglianza, la globalizzazione, l’energia / ambiente, la caduta dei consumi e il debito pubblico. Un provocatorio “esercizio ” suggerisce che la futura crescita pro-capite dei consumi toccherà il limite del 99 per cento del reddito e potrebbe diminuire dello 0,5 per cento l’anno per un lungo periodo di anni.”

Anche se la crescita di Gordon viene effettuata con una misura non convenzionale, la sua è una previsione che fa molto riflettere.

Infine abbiamo un articolo dal titolo “1% … Il nuovo normale tasso di crescita?” Scritto da Chris Brightman di Research Affiliates (la società che è stata fondata dal mio amico Rob Arnott) e loro presentano il loro punto di vista ossia che l’1% sarà il ” nuovo normale” tasso di crescita. Chris fa riferimento ad ricerca che hanno presentato precedentemente in cui hanno descritto quello che chiamano il “3-D Hurricane” il deficit, il debito e la demografia.

Il mio buon amico (e non è estraneo ai lettori di lunga data di questa lettera)Ed Easterling, di Crestmont Research ed io ci siamo recentemente confrontati su tali previsioni, trovando buffo il fatto che Grantham e Brightman ci stavano essenzialmente definendo degli ottimisti. Ma sicuramente non abbiamo trovato nulla di divertente circa le implicazioni delle loro previsioni, in particolar modo sui rendimenti dei titoli a lungo termine del mercato.

Abbiamo quindi deciso con il co-autore di questa lettera di aiutarvi a fare i vostri piani di investimento per il prossimo anno. Come abbiamo già fatto in passato, Ed ha scritto la prima stesura e poi mi ha fatto inserire alcune precisazioni, cercando di non svilire il valore della sua ricerca. E dopo questa premessa, passiamo alla lettera (Nota: tutti i grafici e le tabelle sono di Ed)

Le cose sono cambiate: L’economia cresce molto lentamente

Come ho già sottolineato nel lungo termine le previsioni di crescita del PIL dovrebbero decisamente tendere verso il basso rispetto al 3% che abbiamo visto nel corso del secolo scorso. Lo scopo di questa lettera è quello di guardare oltre i dettagli riportati per ogni argomento al fine di comprendere le prospettive di crescita.

In altre parole il nostro obiettivo è quello di comprendere le implicazioni nel lungo termine sulla crescita dei rendimenti del mercato azionario. Sia che il vostro economista che preferite preveda il 2%, 1% o lo 0% il risultato va solo in quella direzione: il tutto potrà andare solo di male in peggio.

La discussione che segue contiene un estratto dal libro di Ed Probable Outcomes (ed è quello che consiglio vivamente di leggere). Esso esamina la possibilità che la futura crescita economica reale possa discostarsi dal suo trend storico del 3% e ancora più significativamente mette in luce le implicazioni di questo cambiamento.

Storicamente la prospettiva di un rallentamento della crescita economica non è stato così spesso considerato dagli economisti e dagli analisti, ma ora sta invece diventato fortemente condivisa. Gli effetti dati dal rallentamento della crescita sui rendimenti del mercato azionario saranno drammatici per gli investitori.

Shifts & Cycles

La maggior parte degli investitori sanno che il mercato azionario offre dei lunghi periodi di tempo dove i rendimenti sono superiori o al di sotto della media. Questi periodi sono noti come cicli secolari del mercato azionario. L’ultimo orso secolare è stato tra il 1966-1981. Il più recente mercato toro lo abbiamo avuto tra il 1982-1999. L’attuale mercato orso secolare è iniziato nel 2000 ed ha ancora una lunga strada da percorrere. Il grafico 1 presenta tutti i periodi di mercato azionario secolari a partire dal 1900. (primo allegato)

Questi periodi secolari non sono il risultato di una passeggiata casuale attraverso dei periodi positivi e negativi. Non sono periodi di guerra o di pace. Non sono nemmeno un alternanza di periodi di recessione e di espansione dell’economia.

Piuttosto i cicli secolari dei mercati azionari sono guidati da variazioni del valore complessivo del mercato. In altre parole i mercati toro secolari sono periodi in cui il rapporto prezzo/utili (P/E) aumenta e porta a rendimenti composti, mentre i mercati orso secolari sono periodi in cui i P/E diminuiscono e limitano i ritorni.

La linea blu nella parte inferiore del grafico 1 mostra la storia dei P/E. L’aumento del P/E spinge i tori secolari (linea verde) viceversa il calo del P/E spinge gli orsi secolari (linea rossa).

La cosa più importante da rilevare è che il ciclo del P/E non è un’onda formata da coincidenza o casualità. Il P/E è guidato dalla dinamica e dal livello del tasso di inflazione.

L’aumento dell’inflazione spinge verso l’alto i tassi di interesse. Gli investitori richiedono a quel punto dei rendimenti più elevati per compensare l’impatto negativo dell’inflazione. Pertanto un inflazione più elevata comporta un P/E più basso, in modo tale che gli investitori del mercato azionario possano raggiungere dei rendimenti più elevati dati da prezzi più bassi ma da rendimenti più elevati dati dai dividendi.

Anche la deflazione guida il P/E verso il basso. Si verifica in risposta ad un futuro atteso declino degli utili nominali e dei dividendi. Un declino dei flussi di cassa nominali durante una deflazione spinge i valori attuali a livelli ancora più bassi.

Pertanto per più di un secolo gli investitori del mercato azionario hanno visto i cicli secolari dei mercati azionari guidati dal ciclo del tasso dell’inflazione. Ma c’è una seconda variabile che determina la valutazione del mercato azionario. Fino a poco tempo questa variabile poteva essere ignorata perché era comunemente accettata come una costante. Nel corso dei decenni questa seconda variabile è diventata sempre più importante anche che si muove molto lentamente come una tartaruga.

La seconda variabile che ha un impatto sul valore del mercato azionario è il tasso di crescita degli utili. Gli investitori sanno che imprese con una forte crescita hanno un elevato P/E, mentre quelle con una crescita contenuta sono imprese mature. Lo stesso principio vale per il mercato nel suo complesso. Ora è particolarmente importante il fatto che la costante della crescita economica sia diventata particolarmente incerta.

Nel corso del secolo scorso la crescita economica reale è cresciuta ad una media di poco più del 3% all’anno. A seguito della forte relazioni fra i redditi e l’economia, l’utile per azione (EPS) nei principali indici azionari è aumentato di quasi il 3% all’anno in termini reali.

(Questo ha senso perché gli indici del mercato azionario crescono più velocemente rispetto all’economia nel suo complesso? Le imprese individuali e le industrie possono alcune crescere più velocemente ed altre più lentamente, ma la media è altamente correlata con la crescita del PIL più l’inflazione – John.)

Il P/E ha raggiunto il picco a metà degli anni ’20 (tranne che durante la grande bolla alla fine degli anni ’90). Il range nel quale il P/E si è mosso tanto quanto il suo punto medio che è vicino a 15.5 è stato coerente con i tassi di crescita sia dell’economia che degli utili, che nel lungo periodo si sono avvicinati a quasi un 3% l’anno ciascuno.

Grafico 2. Impatto sui P/E dato dal tasso di crescita e dall’inflazione.

Uno degli effetti del rallentamento della crescita economica e degli utili sarà un più basso livello di utili in futuro. Per esempio in più di dieci anni 1,00 dollaro al tasso composto del 3% ci porta a 1,34 dollari ed invece con un 2% arriviamo solo a $1,22. Con uno scenario di crescita più lenta, la differenza è pari a circa ad un 9,3% in meno degli EPS del mercato azionari. Se il mercato azionario sale o scende del 9% nel corso di un decennio, in generale l’impatto è molto piccolo rispetto ai rendimenti complessivi. Ma l’implicazione di un rallentamento della crescita è molto più importante rispetto al livello finale degli utili – una bassa crescita rappresenta un forte cambiamento.[ARTICLEIMAGE]

Ci sono tre modi per valutare gli effetti dati da una bassa crescita e tutti e tre arrivano a dei risultati molto simili tra loro. In primo luogo un modello di crescita degli utili a lungo termine, dei dividendi distribuiti e del valore attuale può essere costruito per valutare l’impatto dei cambiamenti nella crescita del P/E.

Secondo le formule accademiche possono essere impiegate per derivare gli effetti sul P/E basandosi sulla crescita perpetua dei dividendi. In terzo luogo l’impatto sul P/E può essere valutato attraverso le componenti dei rendimenti del mercato azionario. Poiché tutti e tre gli approcci riflettono risultati comparabili, l’approccio più pragmatico da utilizzare per esplorare le implicazioni è il terzo.

Prima di esaminare i dettagli si consideri l’importanza del problema. Se il tasso di crescita degli utili futuri diminuisce di un 1% (vale a dire che ci si aspetta che la crescita economica diminuisca di un 1%) la media storica dei P/E scenderebbe da 15,5 a 11,5 pari a un calo del 26% nel mercato azionario al di là della diminuzione del 9% in termini di crescita degli utili.

Come abbiamo accennato in precedenza l’inflazione causa una diminuzione del P/E perché gli investitori richiedono rendimenti più elevati a titolo di compensazione. A differenza del tasso di inflazione, il tasso di crescita degli utili non cambia necessariamente il livello di rendimento che gli investitori si aspettano.

Questi continuano ad aspettarsi dei rendimenti che siano commisurati con il mercato azionario e con il tasso di inflazione previsto, ma cercheranno di sostituire il minor rendimento dato da una minore crescita degli utili con un’altra fonte di ritorno.

Per illustrare tutto ciò partiamo dal presupposto che una variazione del tasso di crescita non modifichi il tasso di inflazione e che i rendimenti dei titoli di Stato rimangano sempre gli stessi. In assenza di un cambiamento della qualità del credito e di una crescita più lenta, il premio per il rischio per i rendimenti delle obbligazioni societarie non cambierà.

Allo stesso modo il rendimento atteso dagli investimenti nel mercato azionario rimarrà invariato a causa del tasso di crescita.

Quando la crescita più lenta riduce il contributo dato dalla crescita degli utili sul rendimento totale, si rende necessaria un’altra fonte per colmare il deficit. Gli investitori del mercato azionario non sono disposti a prendersi il rischio dato dal mercato azionario senza degli adeguati rendimenti. Se i rendimenti dei titoli non cambiano, questi comprometteranno i rendimenti del mercato azionario.

In questa situazione gli investitori del mercato azionario prenderanno le distanze dal mercato fino a quando il prezzo del mercato non scenderà a livelli tali da fornire ancora degli adeguati rendimenti. Questa è la funzione dei mercati: trovare il prezzo che offra un giusto rendimento.

Questa discussione riguarda l’effetto delle variazioni del tasso di crescita negli utili. Per isolare questo fattore è necessario fare diverse ipotesi. In primo luogo in base alla discussione precedente una diminuzione nella crescita porta ad una più lenta crescita degli utili.

In secondo luogo, nel lungo termine i margini di profitto rimangono simili in entrambi gli scenari di crescita; così il rallentamento della crescita degli utili è coerente con una diminuzione della crescita economica. In terzo luogo il tasso di inflazione rimane costante in entrambi gli scenari di crescita. In quarto luogo il rendimento atteso sia per le azioni che per le obbligazioni, nonché il relativo premio per il rischio azionario non cambia in entrambi gli scenari di crescita. In altre parole, le principali relazioni rimangono costanti.

Dei tre componenti che definiscono i ritorni del mercato azionario, due sono disponibili come fonti di ritorno e il terzo rappresenta il modo in cui si verificano i rendimenti. La prima fonte di rendimento è data dalla crescita degli EPS, e come possiamo vedere in questo esempio questa fornisce il 3% o il 2% sul rendimento totale (“Historical Growth” e “Slower Growth” nel grafico 2). Come conseguenza la seconda fonte di rendimento, il dividend yield dovrà necessariamente aumentare al fine di poter compensare la minore crescita degli utili in uno scenario fatto da una lenta crescita. Infine qui sta il ruolo della terza fonte dei rendimenti del mercato azionario: la variazione del P/E.

Il dividend yield cresce con il P/E che diminuisce e viceversa. Affinché il mercato azionario possa essere posizionato per offrire degli adeguati rendimenti sul capitale, gli investitori cercano dei prezzi molto bassi che consentano al dividend yield di poter salire in misura sufficiente al fine di compensare la perdita data dalla crescita degli utili. La diminuzione richiesta al P/E è in funzione del livello iniziale di partenza del P/E.

Se il P/E parte da un livello iniziale relativamente alto è quindi necessario raggiungere una significativa diminuzione al fine di permettere al dividend yield di aumentare. Ad esempio se la crescita degli EPS scende dell’1% a questo punto la variazione del P/E richiesta al fine di poter aumentare il dividend yield è pari all’1% è cioè 7 punti (da 22 a 15), 4 punti (15,5-11,5) e 2 punti (10-8).

Questa variazione del P/E è legata solo al cambiamento nella crescita degli utili. Inoltre i P/E potrebbero essere ulteriormente influenzati dalle variazioni del tasso di inflazione. Il grafico 3 fornisce un ulteriore esemplificazione grafica della dinamica dei cambiamenti e dei cicli di crescita. Le variazioni sono date dai cambiamenti nel tasso di crescita e il ciclo è guidato dal trend del tasso e dal livello di inflazione.

Impatto del tasso di crescita e tasso di inflazione sui P/E

Come abbiamo precedentemente accennato le altre due metodologie forniscono dei risultati molto simili. Abbiamo una variazione nelle previsioni degli utili futuri a causa di risultati di crescita più lenti e con valori attuali più bassi. Analogamente una diminuzione della variabile del tasso di crescita nei tradizionali modelli accademici genera anch’essa dei valori attuali più bassi.

Beh che dire rispetto alle previsioni di crescita futura di Bill Gross pari al 1,5% o alle prospettive di Chris Brightman che vedono un 1% di crescita, ed infine rispetto al tasso previsto da Jeremy Grantham che prevede uno 0,4%? Una diminuzione del due per cento di crescita diminuirà nel futuro il P/E dal 15,5-11,5. E se questo non è ancora sufficiente, si prega di notare che una percentuale di crescita del 1% riporterà nel lungo termine il valore medio del P/E vicino a 9.

A questo punto nel tempo ci sarà una significativa discrepanza tra le aspettative del mercato in termini di crescita futura e la visione di questi notevoli saggi. L’attuale P/E normalizzato per il ciclo economico è vicino 20. Questo valore è in linea con l’attuale basso tasso di inflazione e con la media dei tassi di crescita storici.

Se però diventasse chiaro che questo fattore potrebbe subire qualche cambiamento, a quel punto bisognerebbe fare attenzione all’impatto negativo dato un altro ciclo di P/E e/o di una nuova fase in cui i P/E puntano verso il basso o con gli effetti dati dalla somma di entrambi.

Ci sarà probabilmente ed necessario che ci sia un ampio dibattito circa l’accuratezza delle stime presentate sopra, ed anche su delle sfumature che possono aggiungere dei punti decimali ai singoli fattori o riequilibrare gli effetti basati su ipotesi di ulteriori scenari. Tuttavia sia che si utilizzi dei modelli di lungo periodo, delle formule accademiche o i componenti di base del metodo tutti e tre gli approcci forniscono dei risultati molto simili. È quindi importante riconoscere che una lenta crescita avrà un impatto significativo sui P/E qualsiasi sia il livello del tasso di inflazione. Mentre continuerà a crescere la discussione sulle implicazioni e sui probabili esiti di questo decennio, una bassa crescita sia economica che degli utili avrà un chiaro effetto sul range nei quale si muoveranno i P/E.

Ci viene spesso chiesto come ci aspettiamo che si manifestino delle più basse valutazioni. Un P/E fatto da una sola cifra è tipico della fine di un mercato orso secolare e l’inizio di un mercato toro secolare, e questo potrebbe significare una forte diminuzione rispetto alle attuali valutazioni del mercato azionario, o di un prolungato movimento laterale del mercato. Una generale consapevolezza e l’accettazione di una crescita economica più lenta certamente contribuiranno nel raggiungere livelli di valutazione inferiori.

Oltre l’arcobaleno

Gli investitori stanno affrontando la realtà data da un mercato orso secolare che è sia la conseguenza del precedente e precursore del prossimo mercato toro secolare. La durata dell’attuale periodo di orso secolare è incerta. Se nel breve termine una maggiore inflazione o deflazione dovesse superare l’attuale livello di inflazione che oggi è piuttosto stabile, questo orso secolare potrebbe finire molto velocemente con delle valutazioni che scendono verso il basso.

Tale risultato tuttavia potrebbe causare delle gravi perdite ai portafogli investiti nel mercato azionario. Se invece l’inflazione o la deflazione si inseriscono lentamente nell’economia – per esempio durante tutto il prossimo decennio – allora questo orso secolare sarà uno di quelli più lunghi.

Tuttavia se in questo decennio avremo un livello di inflazione relativamente bassa come quella che abbiamo avuto negli ultimi dieci anni, a quel punto questo orso secolare potrebbe durare molto di più rispetto a quanto ognuno di noi desidererebbe.

Al di là del tasso di inflazione anche la crescita economica avrà un impatto sul futuro di questo orso secolare. A seguito della crescita economica al di sotto della media degli ultimi dieci anni se vogliamo tornare al trend storico di crescita che è stato pari al 3% dovremo durante questo decennio quanto prima ricominciare a generare una crescita superiore alla media, per poter compensare il recente deficit.

Il risultato finale potrebbe essere una forte spinta agli utili durante questo decennio. Tuttavia in questo decennio possiamo anche avere una crescita economica che tende a scendere verso il basso e questa potrebbe persistere anche in prossimo futuro. Il risultato potrebbe essere un area di valori di P/E significativamente bassi, ma non necessariamente un percorso attraverso il quale uscire fuori dal mercato orso secolare.

La crescita economica può essere in grado di spostare i P/E sia verso l’alto che verso il basso, ma solo l’inflazione o la deflazione possono uccidere un orso secolare.

Qualunque sia il periodo di tempo durante il quale terminerà questo ciclo di orso secolare in cinque, dieci o più anni, il risultato finale sarà l’inizio del prossimo mercato toro secolare che porterà a quel punto un lungo periodo di rendimenti superiori alla media.

A quel punto avrà inizio una nuova primavera. C’è un arcobaleno da qualche parte li fuori. Questa visione a lungo termine dei cicli secolari di borsa ci permette di guardare al di la di questo orso secolare e pensare al successivo toro secolare. La parola chiave è quella di attraversare questo orso secolare e non di attendere che passi.

Attraversarlo significa riconoscere la realtà dei rischi e delle opportunità offerte dall’orso secolare in cui ci troviamo.

Buona settimana. E spero che il 2013 possa essere più interessante che mai.

Il vostro analista che pensa molto al futuro (e ai nostri figli),

John Mauldin

*Questo documento e’ stato preparato da Horo Capital ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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