Oro, non sempre protegge dall’inflazione. Cosa fare
di Carlo Benetti, GAM Italia
Negli anni Settanta l’oro ha costituito un baluardo dal ritorno dell’inflazione, fenomeno sorprendente dopo decenni di crescita e benessere privi di tensioni sui prezzi. Ricordando quegli anni, molti si chiedono se oggi non si stia ripetendo l’errore di allora, quando i primi segnali di inflazione vennero definiti transitori e ignorati, la Fed lasciò che la domanda superasse l’offerta e quella tolleranza liberò la grande inflazione degli anni Settanta.
Nel 1964 il presidente Johnson aveva operato un taglio delle tasse (come Trump nel 2017) e avviato un imponente programma di spesa sociale (come Biden nel 2021) che si sommava alle spese della guerra in Vietnam. La crescita media annua della spesa pubblica aumentò da 5,5% degli anni tra il 1960 e il 1964 a 10,8% dal 1965 al 1969.
Il capo della Fed William McChesney Martin provò a opporsi aumentando i tassi nel 1965 ma Johnson fece leva sul patriottismo: “Bill, i miei ragazzi stanno morendo in Vietnam e tu non vuoi stampare il denaro di cui ho bisogno”. Martin non rimase insensibile, la crescita media annua della base monetaria, 1,8% tra il 1960 e il 1964, triplicò al 6% tra il 1965 e il 1969.
Tra il 1973 e il 1979, il valore dell’oro crebbe del 35% distanziando di molto l’inflazione che correva a quasi il nove percento all’anno. Il gioco si interruppe negli anni successivi, tra il 1980 e il 1984 l’oro perse circa il 10% mentre l’inflazione media annua si aggirava a 6,5%. Lo stesso tra il 1988 e il 1991, il prezzo dell’oro diminuiva e l’inflazione correva al 4,6%.
L’oro dunque non è sempre garanzia di difesa dall’inflazione, conserva invece la sua efficacia quando si tratta di proteggersi da shock improvvisi o crisi politiche: quando viene meno la fiducia nelle istituzioni si rafforza la fiducia nel metallo prezioso, una tendenza vecchia come il mondo.
Anche la situazione debitoria di molte economie è un’altra analogia con gli anni Settanta che non manca di sollevare qualche apprensione. La liquidazione del debito del secondo dopoguerra fu agevolata dalle banche centrali che, di concerto con i governi, tennero i tassi nominali sotto l’inflazione alleggerendo il peso reale del debito.
Potrebbe così riaffiorare la tentazione di lasciar fare all’inflazione il lavoro sporco, diminuire il peso reale del debito senza tagliare spesa sociale o aumentare le tasse, azioni impopolari a tutte le latitudini. Ma nel dopoguerra il sistema monetario era a cambi fissi sotto le regole di Bretton Woods, non c’erano movimenti di capitali, le economie crescevano, distribuivano benessere e, soprattutto, il mondo era molto più piccolo.
Oggi la repressione finanziaria sarebbe una pessima idea, i mercati finanziari sono molto più ampi, liquidi e affollati, sarebbero necessarie politiche monetarie interventiste, misure di controllo rigorose che avrebbero esiti ancora più distorcenti nell’allocazione dei capitali.
In questo momento non c’è un argomento che preoccupi più dell’inflazione, per gli effetti che potrà generare nella seconda parte dell’anno, e per come potrebbe condizionare l’orizzonte di lungo termine.
Per i detentori di obbligazioni l’inflazione è acido che corrode il valore reale delle cedole e dei capitali rimborsati a scadenza, va un po’ meglio per le azioni, in modo particolare per le società in grado di adeguare ricavi, utili e dividendi.
La borsa che Hermés creò per Jane Birkin è un oggetto di culto che ha conservato il suo valore nel tempo, meglio di oro e azioni. Passando dal particolare al generale, dalla borsa iconica al più ampio settore degli oggetti di alta gamma, il fenomeno si ripete, i prezzi del settore del lusso crescono fuori scala rispetto ai comuni indici di inflazione.
Lo dimostra l’andamento del CLEWI (Cost of Living Extremely Well Index), una specie di “indice della Classe Agiata” messo a punto da Forbes, un paniere di quaranta beni e servizi esclusivi. I prezzi dei beni e servizi di lusso salgono liberamente perché non compromettono il gradimento, e l’acquisto, presso un certo segmento di clientela.
Le società del lusso rispondono perfettamente alla possibilità di imporre il prezzo senza il pericolo di diminuire le vendite, facendone una protezione dall’inflazione migliore dell’oro.