Economia

Spread, la strategia del governo per ‘aiutare’ le banche

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Lo spread, più che un problema per le famiglie, lo è per il “sistema creditizio che ha già delle sue criticità; l’aumento dello spread, la quantità di debito pubblico che hanno e le nuove regole bancarie dell’Unione, mettono in tensione il sistema e possono generare la necessità di ricapitalizzare alcuni istituti che già di per sé hanno delle fragilità patrimoniali. Non possiamo far finta di niente ed ignorare questi problemi”. Così il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, in un’intervista al Messaggero. Che il differenziale Btp-bund colpisca innanzitutto gli istituti di credito italiani risulta evidente dalla relazione inversa fra spread e azioni bancarie. Quando sale il primo, scendono le seconde.

 

Dello stesso avviso è anche Fabio Pavesi (ex cronista del Sole24Ore), che riassume così la questione su Dagospia: “Più il Paese agli occhi degli investitori perde affidabilità creditizia, più il rischio sovrano si trasmette in automatico al debito pubblico in portafoglio ai nostri istituti”. Nonostante l’impopolarità delle banche, non va dimenticato che la sofferenza del sistema creditizio si ripercuote sui prestiti, in un Paese che è sempre stato “banco-centrico”, dato il suo tessuto produttivo di piccole e micro imprese. Messo da parte il terrorismo sulle rate dei mutui in essere (che non cambiano sulla base di oscillazioni estemporanee del differenziale Btp-bund), resta la questione di un sistema bancario esposto alle variazioni di prezzo dei titoli di stato italiani. L’entità del problema, è evidente dal confronto fra il valore di mercato delle banche italiane rispetto alle controparti europee: i primi 5 istituti, ha ricordato lo stesso Pavesi, valgono complessivamente 70 miliardi euro.

“Tanto per dare una fotografia suggestiva, le prime 5 banche italiane valgono poco più del solo Santander spagnolo”, scrive il giornalista, “la sola Bnp Paribas vale quanto Intesa e UniCredit messe insieme. E la inglese Hsbc vale due volte le nostre 5 banche tutte insieme. Persino la National Bank of Greece vale oggi il 20% in più di Mps. (…) Valori così compressi espressi oggi dal mercato, che coprono a malapena meno della metà del reale valore patrimoniale degli istituti non si vedevano dai tempi della crisi del debito sovrano”.

La retorica anti-bancaria, dunque, non aiuterà la ripresa del credito, che è un motore essenziale per la crescita. Al di là della cautela di Giorgetti, il governo sembrerebbe intenzionato a percorrere una soluzione nuova per contrastare lo spread e i suoi danni sui bilanci degli istituti: trasferire i titoli di stato, in maggior proporzione, alle stesse famiglie italiane. I Conti individuali di risparmio dovrebbero essere un primo passo in questa direzione. Il principio di fondo è che il piccolo risparmiatore non è granché interessato alle variazioni di prezzo che l’obbligazione attraversa nel corso della vita: ciò che importa in una logica difensiva è incassare quanto dovuto fino alla scadenza del titolo. Stante la solvibilità dello stato italiano, trasferire una maggiore quota di Btp nel risparmio delle famiglie consentirebbe di ridurre quella fetta di bond che vengono venduti sulla base di operazioni speculative e di ridurre l’esposizione delle banche nel caso in cui il prezzo dei titoli subisse contraccolpi. Non mancano voci critiche in merito a questo modello, come quella di Nicola Rossi, sul CorriereEconomia di oggi, secondo il quale il problema sarebbe semplicemente spostato. La scommessa, anche qui, è sulla tenuta dei conti e dell’Eurozona: se va male, a quel punto sarebbero i risparmiatori italiani ad avere in mano il cerino. La responsabilità nella gestione delle risorse pubbliche, a quel punto, assumerebbe un valore non più liquidabile a suon di slogan.