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Ubs: investitori private più ottimisti, ma la guerra dazi spinge a restare liquidi

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Gli investitori più facoltosi recuperano la fiducia nei confronti dell’economia. Anche se sulle decisioni di investimento continua a pesare la guerra commerciale ta Usa e Cina.
È quanto emerge dall’ultima ricerca trimestrale sulla fiducia degli investitori di UBS Global Wealth Management, secondo cui, alla fine del terzo trimestre, gli investitori High Net Worth e gli imprenditori di tutto il mondo sono leggermente più ottimisti sull’economia ma per via delle preoccupazioni sulle tensioni causate dai dazi continuano a detenere in portafoglio una maggiore liquidità.

Entrando nel dettaglio della ricerca, che ha coinvolto oltre 4.600 investitori e imprenditori facoltosi in 18 Paesi, quello che emerge è un generale miglioramento della fiducia sull’economia globale, riscontrato dal 53% degli intervistati. Ancora più grande la fetta di coloro che hanno espresso un giudizio positivo sulla propria regione (61%), con una crescita di due punti percentuali su base trimestrale per entrambi i dati. Crescono di un punto percentuale, al 56%, gli ottimisti sui titoli della propria Paese.

Tuttavia, come anticipato, il 73% degli intervistati si è detto preoccupato dalla volatilità del mercato derivante dalla guerra commerciale. Di conseguenza, il 34% ha dichiarato di aver aumentato la propria quota di liquidità, adottando quella che, fra gli intervistati, è la reazione più diffusa agli sviluppi commerciali in atto.

Questo trimestre le disponibilità liquide sono aumentate di un punto percentuale e rappresentano il 27% dei portafogli degli intervistati, una quota molto superiore a quella solitamente raccomandata dal Chief Investment Office di UBS Global Wealth Management (GWM CIO).

Imprenditori: in calo coloro che hanno in programma assunzioni

Un moderato ottimismo accomuna anche gli imprenditori anche se scende di cinque punti percentuali, al 34% del campione, il numero di quelli che hanno pianificato l’assunzione di nuovi lavoratori, mentre il 44% ha ritenuto una recessione globale altamente probabile nei prossimi sei mesi.
Al contrario, GWM CIO considera improbabile una recessione globale nei prossimi due trimestri e ritiene che la solidità di aree chiave come i consumi statunitensi saprà compensare la debolezza del settore manifatturiero.

Tuttavia, a crescere fra gli intervistati sono le inquietudini legate alle dinamiche politiche nazionali, come dichiara il 47% del campione a fronte del 44% che ha affermato di temere una guerra commerciale globale.
È una preoccupazione particolarmente diffusa negli Stati Uniti, dove la politica interna è temuta dal 60% del campione mentre il commercio allarma il 44% degli intervistati.

“La guerra commerciale in atto e, più in generale le tensioni geopolitiche a cui stiamo assistendo, sono occasione di riflessione per gli investitori di tutto il mondo che, come noto, non amano la volatilità dei mercati.
Questa situazione li porta spesso a un approccio attendista e ad accumulare liquidità. Il loro ottimismo verso il rendimento futuro dei mercati resta comunque elevato: il 50% degli investitori HNW vede il mercato azionario in crescita nei prossimi sei mesi” ha commentato Paolo Federici, Market Head Italy, UBS Global Wealth Management.

Investitori Ue meno positivi sull’azionario

Resta sostanzialmente stabile l’ottimismo economico degli investitori europei. Anche, se in linea con gli investitori statunitensi, è tuttavia scesa dal 53% al 50% la percentuale delle valutazioni positive sui mercati azionari interni.

Fra gli imprenditori, i giudizi positivi sull’economia interna sono nettamente migliorati, dal 53% del precedente trimestre al 67%.
Come tra gli investirori americani, anche fra quelli europei prevale la preoccupazione per la politica interna, che sale al 43% rispetto al 39% a causa dei timori rispetto alla competitività nazionale e all’aumento delle imposte.

Nel Regno Unito, a preoccupare sono soprattutto la politica interna, al 51%, e la Brexit, al 49%. In Germania, prevale la paura dei bassi rendimenti, al 46%. In Italia, pesa invece il debito nazionale, al 47%.