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Telecom: l’harakiri di Marco Fossati che gli è costato 600 milioni

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ROMA (WSI) – Domanda: se incassaste oltre 1 miliardo di euro dalla vendita delle aziende di famiglia cosa fareste? È il “grande problema” (bel problema pensiamo noi uomini comuni) che la famiglia Fossati si è trovata ad affrontare nel 2007 dopo aver ceduto la Star agli spagnoli di Gallina Blanca.

Sì, l’azienda del doppio brodo e dei dadi ma anche di marchi come Sogni d’Oro, Orzo Bimbo, Gran Ragu’ e Pumaro’ fondata da Danilo Fossati nel 1948. Cosa ti fa l’erede principale dopo che incassa un assegno 1000 volte quello che faceva entusiasmare il Signor Bonaventura (un misero milione, lo ricordate)? Decide di investire massicciamente in Telecom Italia, diventandone il più importante azionista privato.

Dai dadi da brodo alle telecomunicazioni, dagli estratti di gallina e manzo alla banda larga e ai salotti di Mediobanca. Sono passati circa 8 anni dal primo investimento e oggi possiamo provare a tracciarne un primo bilancio.

Negli scorsi giorni, infatti, la Findim del finanziere Marco Fossati ha annunciato a sorpresa che ha ridotto a meno del 2% la propria partecipazione nel capitale di Telecom Italia al fine di “diversificare il portafoglio” dopo che nel passato era arrivata a superare il 5% nell’ex monopolista telefonico.

Nel marzo del 2014, sul settimanale Left-Avvenimenti in edicola in allegato con l’Unità il finanziere Marco Fossati veniva presentato come “L’uomo che vuole rottamare il capitalismo italiano”.

In pratica la famiglia Fossati dopo che qualche anno fa ha investito si stima oltre un miliardo di euro in Telecom Italia col titolo sopra i 2 euro ora col valore del titolo dimezzato e aver collezionato perdite per circa 500 milioni di euro (sì avete letto bene) scopre le virtù della diversificazione.

Se liquidasse tutta la partecipazione in questi anni ha collezionato minusvalenze per 500-600 milioni di euro stimano gli addetti ai lavori. E sono diverse le considerazioni riguardo gli investimenti che vengono in mente a riflettere su questa storia senza voler affrontare quel pasticciaccio brutto della Telecom Italia.

La prima che viene spontanea è perché mai un tipo come Marco Fossati ha avuto l’idea di puntare una fiche da oltre 1 miliardo di euro su Telecom Italia? Quasi un gigantesco “all in” si direbbe nel gioco del poker secondo le regole del Texas Holdem. Andare in All-in significa, infatti, mettere tutti i propri gettoni sul piatto e quindi giocarsi tutto in un solo colpo, senza limiti, in un’unica mano.

è contro ogni logica effettuare un investimento di questo tipo per quanto la famiglia Fossati viene accreditata di una fortuna certo superiore al “miliardino” (1,2 miliardi di euro più esattamente) che ha investito in Telecom Italia perché al tesoretto della Star bisogna aggiungere la vendita della Mellin (alimenti per bambini) e altre proprietà.

Che razza di consulenti finanziari e banchieri d’affari si scelgono i Paperoni italiani? È questa la seconda domanda insistente che mi frulla, infatti, da tempo nella testa.

Se il più piccolo e insignificante dei consulenti finanziari consigliasse un simile investimento sarebbe probabilmente radiato a vita da qualsiasi ordine ma se un consiglio così balordo lo dà un banchiere d’affari tipo di Mediobanca allora è un’altra cosa?

Dico il nome di Mediobanca non a caso perché qualche bravo giornalista come Giovanni Pons di Repubblica si era posto qualche anno fa anche lui la domanda su come ha fatto l’uomo del dado Star a finire come un pollo… dentro l’avventura Telecom Italia.

E ricostruendo quello che era accaduto tra il 2007 e il 2008 era venuto fuori il nome di Gabriele Galateri, allora presidente di Mediobanca e che già conosceva bene i Fossati dai tempi in cui il gruppo alimentare brianzolo aveva stretto una joint venture con i francesi della Danone e l’Ifil, finanziaria della famiglia Agnelli. L’idea di Fossati era probabilmente quella di fare una grande cosa con gli spagnoli di Telefonica, sottovalutando che gestire un’azienda personale è cosa ben diversa che entrare in una public company con tanti vizi e poche virtù come Telecom Italia.

E quello che è accaduto ai Fossati non è a memoria un caso certo isolato perché se si scorrono dagli Anni 80 in poi le cronache finanziarie è veramente significativo il caso di ricchissimi imprenditori che dopo aver ceduto l’azienda di famiglia o “fatto il grano” in modo pesante decidono di acquistare partecipazioni importanti in società quotate e ne escono poi nel tempo con le ossa rotta seguendo i consigli arditi di celebrati banchieri d’affari.

Si pensi alle Assicurazioni Generali di cui da quando ero ragazzo a Torino leggevo di famiglie “bene” che costituivano finanziarie e holding dove conferire rotondi pacchetti: nel tempo se avessero investito in Btp non avrebbero perso intere fortune e avrebbero invece ottenuto rendimenti quasi stellari. Pure la famiglia De Agostini che sembrava non sbagliarne una in Borsa è caduta negli scorsi anni su Generali perdendo una cifra sostanziosa su questo investimento come qualcuno ricorderà.

Su Telecom Italia peraltro Fossati è entrato dopo che un certo Marco Tronchetti Provera aveva bruciato oltre 3 miliardi di euro dei suoi azionisti Pirelli in questa avventura. Pensava di essere una volpe più furba o qualcuno glielo ha fatto credere?

Personalmente chi propone simili operazioni come certi banchieri e consulenti o top privat bankers penso che sappia sfruttare il lato mentale debole di alcuni di questi ricchi a caccia di all-in. Il vendergli non solo l’idea di guadagni allettanti (e quelli ci sono sicuramente per la loro mediazione) ma anche forse il fatto di partecipare a operazioni di “sistema”, robe importanti non di piccolo cabotaggio. Finanza con la F maiuscola. Per ritrovarsi nelle caselle importanti nel crocevia del capitalismo italiano e conquistarsi anche le pagine dei giornali, il rispetto dei media e del potere che conta.

Leggendo qualche mese fa il tomo celebrato sulla sperequazione della ricchezza dell’economista francese Thomas Piketty “Il Capitale nel XXI secolo” mi aveva colpito la sua considerazione secondo la quale i ricchi diventano sempre più ricchi indipendentemente se svolgono o meno un’attività imprenditoriale o sono dei semplici tagliatori di cedole o speculatori o nullafacenti.

Il caso citato da Piketty era quello di Liliane Bettencourt (92 anni), erede di L’Orèal, leader mondiale nella produzione dei cosmetici, fondata dal padre nel 1907 la cui ricchezza personale è passata tra il 1990 e il 2010 da 2 miliardi a 25 miliardi di dollari al tasso del 13% annuo. E l’autore sottolinea come questa ricca anziana non ha mai lavorato in vita sua (una “rentier” secondo la definizione marxiana) e ha avuto lo stesso incremento della ricchezza di un certo Bill Gates, imprenditore di prima generazione, che ha visto nello stesso periodo passare la propria fortuna personale da 4 miliardi di dollari a 50 miliardi di dollari.

Secondo Piketty questo basta a dire che “una volta accumulato il patrimonio, la dinamica patrimoniale segue una logica propria, e un capitale può continuare a crescere a ritmo sostenuto per decenni, per il semplice effetto del volume a cui corrisponde”. Secondo l’economista francese in pratica chi detiene super ricchezze vede il denaro “riprodursi in modo automatico da solo” come raccontava lo stesso scrittore francese Balzac in Papà Goriot.

Se fossi in Marco Fossati scriverei a Piketty per confutare con dati reali la sua affermazione troppo lapidaria che basti essere ricchissimi per diventare ultra ricchi e basti possedere fortune importanti per vedere il capitale crescere a tassi positivi a 2 cifre. Anche i ricchi piangono e possono prendere delle fregature.

E tante perché possono entrare in contatto con consulenti di valore ma anche con un numero molto elevato di gatti e volpi desiderose di tosargli la ricchezza con parcelle salate e affari avventati.

E non parlo naturalmente solo per l’affaire Telecom Italia e l’avventura dei Fossati ma per molti casi che ho esaminato come giornalista finanziario e poi consulente finanziario e dove ho visto come il ricco rischi ancora più facilmente di essere spennato quando ha molta liquidità da investire.

Mi dispiace comunque per la famiglia Fossati che in questi anni ha dovuto affrontare situazioni familiari dolorose fra cui la perdita del fratello di Marco Fossati, Luca, morto nel 2001 insieme ad altre 117 persone in un incidente assurdo (il più grave mai avvenuto in Italia) presso l’aeroporto di Linate per colpa della nebbia e della visibilità ridotta.

I soldi vanno e vengono quando se ne possiedono molti e l’esperienza di questa puntata in Telecom Italia sicuramente servirà in futuro a muoversi con meno audacia e tentare l’all in. Quello lasciamolo ai giocatori di poker professionisti se esistono.

Quando si investono i soldi propri o della propria famiglia (e questa lezione non vale solo se siete miliardari) il colpaccio meglio evitarlo anche se si possiede una fortuna di 1 o 2 miliardi di euro.

Ai dadi tutta la propria fortuna non la si gioca: nemmeno se avete costruito la vostra ricchezza sui dadi.

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