ROMA (WSI) – Dopo l’abolizione del finanziamento ai partiti per la loro sopravvivenza pare fondamentale il due per mille che gli italiani possono decidere di destinare a 27 forze politiche ammesse alla spartizione dell’Irpef.
Si può partecipare alla spartizione del due per mille dellIrpef però solo se il partito è registrato e lo statuto è conforme ai principi di democrazia interna. Ma non c’è solo il due per mille. La legge sull’abolizione del finanziamento pubblico in via diretta ai partiti (l. n. 13/2014) ha mostrato lacune che consentono l’opacità di canali di finanziamento diversi, scrive Vitalba Azzollini su phastidio.net.
“Nelle intenzioni del legislatore, l’abolito finanziamento pubblico diretto avrebbe dovuto essere compensato da quello proveniente dai privati, reso trasparente in forza dei meccanismi incentivanti previsti. Le cose sono andate in altro modo: da un lato, i cittadini contribuiscono in misura insufficiente al sostentamento della politica; dall’altro, le prescrizioni in tema di disclosure si sono dimostrate inadeguate”.
Se da una parte infatti emerge che solo il 3 per cento dei contribuenti italiani esprime la propria volontà di destinare soldi ai partiti, dall’altro emerge un lato più oscuro con il rischio che a finanziare i partiti italiani siano fondi esteri che godono dell’assoluta mancanza di trasparenza della legge.
“Associazioni e fondazioni riconducibili alla politica sono gravate da obblighi di disclosure solo se rientranti in alcune limitatissime fattispecie, restandone esclusa un’ampia gamma di possibili intrecci tra esse, singoli e partiti. Soprattutto, tali formazioni non sono tenute a rendere noti i propri finanziatori (su 108 fondazioni, solo 15 a titolo volontario fanno una certa trasparenza sulle entrate). Dunque, nonostante esse rappresentino canali usati per veicolare denaro ai partiti e ai loro componenti, godono per lo più di un’opacità assoluta”.