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Sopravvivere a tassi a zero. Investire su emergenti e banche

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ROMA (WSI) – Sopravvivere ai tassi a zero. La Bce si riunirà giovedì per il cruciale meeting di politica economica. L’attesa è grande ed è ormai dato per scontato un taglio del costo del denaro (oggi allo 0,25%), insieme all’ancora inesplorato passaggio a valori negativi per i depositi.

«Pensiamo che la Bce agirà su entrambi i tassi – dice Gabriele Zaninetti, responsabile degli investimenti di JP Morgan Private Bank -. Quello ufficiale sarà ridotto di 10-15 punti base così come quello sui depositi che sarà portato, per la prima volta, in terreno negativo con una riduzione anche qui di 10-15 punti».

Per l’esperto saranno le due sole mosse che Draghi presenterà giovedì prossimo e per il mercato, che si aspetta misure più ampie, potrebbe significare una delusione ma di breve durata. Mentre gli interventi più aggressivi, primo tra tutti un Ltro mirato alle piccole imprese, saranno rinviati ai prossimi mesi nell’ipotesi che le misure di giovedì non risultino sufficienti.

«In questa fase il Qe invece è da escludere – afferma Zaninetti -. Potrebbe tornare in primo piano nella seconda parte dell’anno in funzione di come procederà la crescita economica e dei livelli di inflazione».

A pagare saranno i piccoli investitori. «Ci troviamo in un regime di repressione finanziaria per effetto dei grandi interventi delle Banche centrali che per proteggere l’economia utilizzano massicciamente le leve disponibili – spiega Andrea Delitala, Head of investments advisory di Pictet Am -. In prospettiva, un investitore italiano, che in genere distribuisce il suo patrimonio per un 30% in azioni e per il restante 70% in obbligazioni, in questo contesto si ritroverà con un rendimento inferiore al 3%».

Dove cercare opportunità più interessanti? I grandi investitori di Wall Street e Londra hanno iniziato il riposizionamento puntando su lidi abbandonati da poco e ora ridiventati più appetibili. Come i Paesi emergenti che da un paio di mesi sono di nuovo nel mirino dei grandi fondi.

Piacciono le azioni ma l’interesse è grande anche per le obbligazioni governative della Cina (che mostra di nuovo performance positive dal settore manifatturiero) o dell’India (sulle attese per il nuovo corso post elezioni).

Nella lista spuntano anche new entry come Sri-Lanka, Pakistan, Iraq o Repubblica dominicana, per fare alcuni nomi.

«Siamo molto positivi sulle obbligazioni dei Paesi di frontiera che nell’ultimo decennio hanno registrato ritorni medi dell’11% annualizzato, con una performance da inizio anno del 5%», dice Jeremy Brewin, responsabile debito emergente di Ing Im.

«Noi stiamo cercando di costruire portafogli obbligazionari molto più diversificati sulla parte internazionale – racconta Claudio Barberis, responsabile asset allocation MoneyFarm -. Primo perché l’euro è forte e quindi è un vantaggio fare acquisti fuori dall’Europa. E poi perché, dopo i minimi toccati dai governativi europei, diventa più interessante guardare ad altre aree».

Lo State Street emerging markets local government bond offre un 6,5% a scadenza. In questi Paesi si è intanto affermata una nuova asset class che fino a poco fa era praticamente inesistente ed è quella dei bond societari degli emergenti. «E’ un tema fuori dal cerchio di influsso dei tassi a zero – afferma Barberis -. Arriva a pagare quasi il 5% lordo con durate vantaggiose, intorno ai 4 anni. Vale a dire quasi la metà degli analoghi bond europei».

Le possibilità per puntare su questo asset passano per i fondi comuni d’investimento e per gli Etf di categoria come l’iShares e lo State Street emerging markets dollar corporate bond.

In Europa e in Italia l’attenzione è rivolta al settore bancario. «La mossa sui tassi riflette la volontà di stimolare il credito e a essere favorite da questa manovra saranno le banche – dice Zaninetti -. Pensiamo ci sia valore nel settore finanziario dell’area periferica e in particolare in Italia, vista anche la continua riduzione dei costi di funding legata al calo dello spread e perché le dinamiche di crescita domestica portano a un miglioramento del credito. In particolare, ci piacciono i grandi gruppi italiani». Mediobanca e Unicredit sono gli istituti preferiti dagli analisti di Citigroup, in questo momento.

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