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SIAMO AL GIRO DI BOA

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(WSI) – Nessuno ci crede, nessuno si fida. Non è bastato un rally, il migliore degli ultimi dieci anni, a dare qualche certezza in più sulle Borse. Si naviga in acque sconosciute. Così, al giro di boa dei primi sei mesi dell’anno, i dubbi e le perplessità restano ancora molto forti. Salvo un plauso comune verso i Paesi Emergenti, certo più volatili dei mercati maturi, ma ricchi di promesse e, soprattutto, di fondamentali «macro» e «micro» meno compromessi.

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«Quel che vediamo – spiega Andrea Delitala, responsabile investment advisory di Pictet – è un film un po’ truccato. I mercati beneficiano degli interventi dei governi e di un processo di ricostituzione delle scorte, che però è ben diverso da un rialzo delle vendite e, quindi, da una ripresa strutturale della domanda».

BICCHIERE A METÀ. Già, la ripresa strutturale, ma quando arriverà? «Per ora – aggiunge Delitala – siamo sotto antibiotici». Non meno severa è l’analisi di Donatella Principe, responsabile di Markets & Products Intelligence di Schroders: «Il mercato ha enfatizzato alcuni segnali di stabilizzazione, come il miglioramento di parte dei dati macro e il risultato degli stress test, superati peraltro solo al 50 per cento. Ma il movimento dei prezzi è stato eccessivo». Meglio, dunque, non illudersi troppo. «L’estate – precisa Principe – sarà ancora all’insegna del rally, ma poi ci si renderà conto che il futuro prospetta una ripresa lenta. La semplice lettura dei p/e medi fa capire che siamo andati troppo avanti».

Prudenza non vuol dire comunque scappare dalle Borse, ma adeguare il portafoglio a più corretti orizzonti. Ad esempio, per Marco Pirondini, responsabile globale investimenti di Pioneer, il bicchiere è mezzo pieno: «Mi aspetto un mercato volatile e laterale, perciò consiglio settori anticiclici come utility, tlc e healthcare». Più esplicito Gianluca Gabrielli, direttore investimenti di Soprano Sgr: «Punto su società con una solida posizione finanziaria e buoni flussi di cassa. Del resto, in uno scenario di deflazione il criterio di scelta sui titoli è l’assenza di debito». Ecco perciò, secondo l’esperto di Soprano, una lista di nomi da non trascurare: «In Italia, Parmalat ed Eni, il cui debito resta sostenibile, e poi Fiat, che a fronte della crisi del comparto ha saputo diversificarsi; tra le small Brembo e Recordati. E infine negli Usa le big Pfizer, Fedex e Chevron».

LE TERRE PROMESSE. Eppure questo rally, di cui si scrutano gli incerti destini, qualcosa di particolare l’ha messo in luce: la galoppata degli Emergenti. Si dirà, capita sempre; ma il fatto nuovo è che siamo di fronte a una sorta di decoupling non borsistico, ma macro. Del resto, il mondo non sarà più quello di prima: il G8 avrà sempre meno influenza e il G20 sempre di più, in attesa che si capisca il destino del dollaro. E proprio gli Emergenti sono diventati un «must» del portafoglio. Spiega Francesco Fonzi, portfolio manager di Credit Suisse: «La nostra area di investimento privilegiata rimane quella emergente. Paesi caratterizzati da minori squilibri finanziari e meno coinvolti nella crisi subprime. Inoltre, demografia e classe media in ascesa favoriranno flussi di investimento finanziari crescenti. E In cima alla classifica dei Paesi preferiti – aggiunge – mettiamo il Brasile, per stabilità politica e valutaria».

Già, Asia e Sudamerica, future terre promesse. Non più come negli anni Ottanta e Novanta, quando la ricerca di performance si scontrava con continui rischi di instabilità finanziaria. Oggi, quei Paesi sono creditori dell’Occidente. Si pensi al Brasile, con in cassa 200 miliardi di dollari di valuta pregiata; o alla Cina, con quasi due trilioni. Anche Hanspeter Ehrsam, analista di Lemanik spezza una lancia a favore degli Emerging, però «solo dopo una correzione, che dovrebbe essere pari a circa la metà del trend rialzista partito dai minimi di marzo». E per un corretto stock picking? «Evitare i titoli dell’immobiliare, eccessivamente valutati – risponde secco Ehrsam – Molto meglio le big dell’hi-tech».

LA CORREZIONE. Tra i misteri insondabili di questa fase c’è appunto quello di capire quale sarà il respiro, a breve, delle Borse. Che nell’ultimo mese si sia vista una correzione non ci piove. Ma pare già finita. Si fa di conto per capire quanto manca per tornare ai massimi di giugno: pochi punti percentuali per Wall Street, qualcosina di più per l’Europa. E solo allora si capirà se c’è forza per andare oltre: forse sarà l’ultima carica del Torello prima di uno storno ben più consistente delle scorse settimane.

A breve, semmai, conviene segnarsi in agenda la prossima stagione delle trimestrali Usa: sarà probabilmente la vera cartina di tornasole. Massimo Valsangiacomo, analista di Banca del Sempione, delinea per esempio lo scenario seguente: «Il recente rally non è sostenuto dai fondamentali, sia micro sia macro. Si intravede la luce in fondo al tunnel, ma non c’è ancora una ripresa dell’economia reale. Perciò è meglio incrementare l’azionario solo sulla debolezza. Tra i settori consiglio le risorse di base della francese Arcelor Mittal e l’energia alternativa della tedesca Solarworld. Poi, unica scelta russa, Gazprom».

Altrettanto cauto Sergio Bertoncini, strategist di Credit Agricole Asset Management: «Stiamo riscoprendo i settori più difensivi, le cui valutazioni sono tornate abbastanza interessanti: quindi telecom, consumer staples e healthcare. Le utility invece rimangono un settore abbastanza tirato». Di più, secondo Bertoncini, vale la pena di rimanere «costruttivi sull’area asiatica». Mentre nella seconda parte dell’anno, anche l’economia Usa dovrebbero tornare «a dare segnali di maggiore stabilizzazione, a tutto vantaggio della Borsa».

IL PARTITO OTTIMISTA. Ovviamente non manca chi, come Massimo Fuggetta, responsabile degli investimenti e socio fondatore di Horatius Sim, preferisce indossare da subito gli occhiali rosa. «Noi siamo molto bullish sul mercato – dice – anche se permangono rischi di fragilità. Infatti, abbiamo accresciuto la nostra posizione sull’azionario e vantiamo con orgoglio una performance del +15% da inizio anno. E nonostante il rally, siamo convinti che il mercato rimane cheap: molti fondamentali sono ancora a sconto e per riuscire a individuare i titoli giusti bisogna guardare le valutazioni rispetto a utili, cash flow e valore di libro».

Certo, se il peggio è davvero alle spalle, e magari non ce ne siamo accorti, si rischia solo di mangiarsi le mani a non avere osato di più. «Per quanto riguarda gli earning – prosegue Fuggetta – i valori attuali sono bassi rispetto a un valore normalizzato. Il p/e dunque può risultare alto, ma perché gli utili sono molto depressi. Scontando i valori a 5-6 anni, invece, ci sono titoli che hanno potenzialità di rendimento anche del 200 per cento. Ma bisogna saperli selezionare: tra i settori più massacrati il consumer discretionary ha valori molto bassi con ottime opportunità. E occasioni ci sono anche tra i finanziari, molto a sconto rispetto ai fondamentali».

Già che dire dei finanziari, origine e causa di tutto il disastro? Fabio Trussardi, analista di Ubs Wmr ed esperto di banche e assicurazioni, è prudente: «Nel secondo trimestre mi attendo revenues per le banche sotto pressione, a causa dei tassi bassi e dei minori asset under management. Poi mi attendo accantonamenti in crescita. E, in questo scenario, le banche italiane sono più sensibili rispetto alla media europea ai tassi di interesse, quindi saranno le prime a beneficiare di un rialzo del costo del denaro. Tra le big preferisco Unicredit, mentre i piani industriali di Intesa Sanpaolo (atteso per fine agosto, ndr) e Ubi (per settembre) potrebbero rivelarsi dei triggers sui rispettivi titoli». E che dire infine delle assicurazioni?

«Il settore a livello europeo – prosegue Trussardi – tratta in media a sconto rispetto all’universo bancario, pur presentando migliori trend di crescita: trattano infatti a 7,1 volte l’utile atteso 2009 con uno sconto medio del 30% rispetto alle banche. A livello di price/book value lo sconto rispetto alle banche è del 18 per cento. Infine, ed è interessante, il Roe atteso sul 2009 del settore bancario è al 7,1%, per le assicurazioni al 14,3 per cento. Sul 2010, rispettivamente all’8,6% e al 17%».

Hanno collaborato: C. Gaiaschi, M. Malandra, C. Meoni, G. Raimondi e G. Petrucciani.

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