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Se Berlusconi non fosse italiano

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ROMA (WSI) – Se i giornali e i tg sostituissero la politica italiana con quella estera, capiremmo tutti in quale gabbia di matti ci tocca vivere. Da quando la Cassazione ha fissato per il 30 luglio l’udienza per la sentenza definitiva del processo Mediaset a carico di Silvio Berlusconi, tutti trattengono il fiato in attesa della data fatidica, da cui sembrano dipendere i destini non solo del governo Letta, ma dell’intera nazione. Lo stesso governo e la stessa nazione che sono rimasti appesi per giorni alle sorti del cosiddetto ministro dell’Interno Angelino Alfano, protagonista a sua insaputa della deportazione della moglie e della figlioletta di un dissidente kazako. Sarebbe bastato che la provincialissima stampa italiana raccontasse col dovuto risalto quel che accadeva in Lussemburgo e in Spagna per mostrarci come si regolano gli altri paesi con scandali giudiziari o politici simili a quelli che terremotano il nostro orticello.

In Lussemburgo governava ininterrottamente dal 1995 Jean-Claude Juncker. Poi la commissione parlamentare d’inchiesta che dal 2004 indagava su un vecchio scandalo del servizio segreto del Granducato, sospettato di spiare e intercettare illegalmente migliaia di cittadini, ha consegnato una relazione finale che conferma le accuse. Nessun reato, almeno a carico del premier: “solo” la responsabilità politica di non aver vigilato a dovere sull’intelligence. Junker s’è difeso in Parlamento dagli attacchi dell’opposizione, ma è stato scaricato anche dal Partito socialista alleato. E, prima di essere sfiduciato, s’è dimesso, convocando le elezioni anticipate. Intanto in Italia Alfano, costretto ad ammettere di non aver controllato i funzionari del suo ministero che avevano sequestrato Alma e Alua, restava al suo posto. E i presidenti della Repubblica e del Consiglio lo difendevano, sostenendo che non esiste per i ministri una “responsabilità oggettiva”: ma esiste la responsabilità politico-istituzionale almeno di culpa in vigilando (articolo 95 della Costituzione: “I ministri sono responsabili individualmente degli atti dei loro dicasteri”).

In Spagna infuria l’inchiesta giudiziaria sull’affare Gurtel: una storiaccia di mazzette e finanziamenti occulti che ruota intorno al faccendiere Francisco Correa, nata nel 2009 e costata la carriera al giudice Baltazar Garzòn, che ha investito prima l’ex tesoriere del Partito popolare Luis Bàrcenas, detto Luis el Cabròn, e poi il premier Mariano Rajoy. Nel gennaio 2013 “El Pais” pubblica la contabilità parallela del Pp; poi Barcenas rivela dal carcere di aver girato a Rajoy 90 mila euro in contanti; infine, a giugno, “El Mundo” divulga una miriade di sms fra l’ex cassiere e il primo ministro che provano un’inquietante intimità fino a tre mesi fa. Sulle prime Rajoy si difende all’italiana, gridando al complotto e accusando Bàrcenas di essere addirittura al soldo dei socialisti. Poi è costretto a dare le prime spiegazioni. Anche perché non solo le opposizioni di sinistra chiedono le sue dimissioni e le elezioni anticipate, ma anche nel Pp lo chiamano “delinquente” e gli chiedono di farsi da parte. Il tutto in assenza non solo di una sentenza, ma persino di un’incriminazione.

Intanto in Italia Berlusconi, condannato in appello a 4 anni per frode fiscale e in primo grado a 7 anni per concussione e prostituzione minorile e a 1 anno per rivelazione di segreti, viene difeso dal Pdl che parla di «uso politico della giustizia» mentre da vent’anni fa un uso giudiziario della politica; e il Pd tace imbarazzato, o invita a «separare le sentenze dalla politica» e sotto sotto spera nella clemenza della Corte di Cassazione per salvare il governo. Come se la presenza nella maggioranza di uno che i popolari spagnoli chiamerebbero “delinquente” o peggio, fosse un dettaglio trascurabile. Modesta proposta: affiancare alle cronache sull’attesa del 30 luglio quelle sui casi Rajoy e Junker. Chissà che a qualcuno non venga in mente una soluzione semplice semplice per evitare le ricadute politiche del verdetto: anziché separare le sentenze dal governo, cacciare dalla maggioranza i politici imputati in Cassazione.

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