Economia

Salario minimo utile per Visco: così si riaccende il dibattito sul lavoro giovanile

Torna a far discutere il salario minimo, riportato al centro dell’attenzione dal discorso del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Un tema divisivo che ha spinto diversi esponenti politici a esporsi e che riguarda soprattutto le condizioni lavorative dei Millennial. Vediamo tutto nell’analisi.

Le parole di Visco

“Il lavoro a termine si associa a condizioni di precarietà molto prolungate; la quota di giovani che dopo 5 anni ancora si trova in condizioni di impiego a tempo determinato resta prossima al 20% — ha detto ieri Ignazio Visco nelle sue Considerazioni generali — Troppi, non solo tra i giovani, non hanno un’occupazione regolare o non si vedono riconosciute condizioni contrattuali adeguate; come negli altri principali paesi, l’introduzione di un salario minimo, definito con il necessario equilibrio, può rispondere a non trascurabili esigenze di giustizia sociale”.

Il dibattito politico

Dunque sul salario minimo per legge il governatore della Banca d’Italia la pensa diversamente dalla premier, Giorgia Meloni, che più volte ha detto di non considerarlo la risposta da dare alla questione delle basse retribuzioni. Sulla stessa linea di Visco c’è invece Carlo Calenda: “Anche Bankitalia conferma che un provvedimento contro il lavoro povero va fatto. Noi abbiamo presentato una proposta di Retribuzione Minima Contrattuale che rafforza i contratti nazionali tagliando fuori quelli pirata”, ha scritto su Twitter il leader di Azione.

Il lavoro dei giovani

Per parlare di lavoro giovanile, però, bisogna partire di chi un impiego non ce l’ha. Le cifre della disoccupazione, che indicano quanti giovani cercano attivamente lavoro senza trovarlo, in Italia nel 2021 erano il 9,5% della popolazione in età da lavoro, contro il 3,6% della Germania, il 7,9% della Francia, il 7,7% dell’Area Euro. In generale nell’UE solo Spagna e Grecia sono messe peggio di noi. Poi, se scendiamo nel dettaglio dell’occupazione giovanile esistente, scopriamo qualcosa di interessante: nella fascia 15-24 anni il 23,9% degli occupati è sottoposto al part time, mentre in Danimarca sono il 45%, in Germania il 24%, in Olanda il 54% e nell’Eurozona il 25%.

Insomma, l’occupazione dei giovani è e resta un nodo da sciogliere in Italia. Difficile dire se una misura come quella del salario minimo possa risultare più di un semplice palliativo, di sicuro però un Paese che ha bisogno di aumentare la capacità produttiva non può fare a meno del ricambio generazionale nella propria forza lavoro.