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RIBASSISTI DEPRESSI: IL TORO STRAGALOPPA !

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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(WSI) – A sette settimane e mezzo dalla fine dell’anno trovare in giro un orso è sempre più difficile. Non è solo l’abituale letargo stagionale, che inizia ufficialmente il giorno dopo Thanksgiving, il giorno in cui inizia il raduno dei tori di tutto il mondo (simile alla marcia dei pinguini che ogni aprile confluiscono sempre nello stesso punto da tutto l’Antartide). C’è anche una moria vera e propria. Quella che in primavera poteva sembrare la fase declinante dell’espansione, quello che restava del giorno prima della stagflazione o della recessione, viene oggi considerata dal consenso come una semplice pausa di metà ciclo, salutare e rinfrescante, in vista di chissà quanti altri anni di crescita e di rialzi.

Va quindi reso onore ai pochi orsi sopravissuti, tenaci, coraggiosi e indispensabili all’equilibrio ecologico dei mercati. Un mondo di soli tori è un mondo noioso e stucchevole. E’ anche un mondo pericoloso, non solo per i tori (che si calpestano l’un l’altro quando scoppiano le bolle che producono), ma anche per l’ecosistema, che per lo scoppio delle bolle rischia recessioni altrimenti evitabili.
Diamo allora un’occhiata alle argomentazioni di due tra i pochissimi orsi in circolazione, Tom McManus di Bank of America e Abhijit Chaktabortti di JP Morgan. Per quest’ultimo le prospettive per l’azionario sono negative per la bassa crescita economica, la bassissima crescita della produttività, il forte balzo del costo del lavoro per unità di prodotto e il deterioramento dei driver degli utili.

Vediamo questi argomenti uno per uno.

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Bassa crescita economica. Non c’è dubbio che la crescita americana sarà in futuro più lenta di quanto non sia stata nei primi tre anni e mezzo dell’espansione. Non c’è nemmeno dubbio che la crescita europea sarà anch’essa più bassa nel 2007. Bisogna però intendersi. Per l’America possiamo parlare di 12 mesi di crescita medio bassa (da metà 2006 a metà 2007) cui seguirà una fase, augurabilmente lunga, di crescita media (di pochissimo sotto il 3 per cento). Per l’Europa ci sarà un rallentamento una tantum nel primo trimestre, cui seguirà una forte riaccelerazione (sia pure a una velocità leggermente inferiore a quella di questi ultimi mesi) nel resto dell’anno. L’Asia, nel suo complesso, continuerà a crescere molto.

Il Fondo Monetario ha confermato ieri la sua stima di crescita globale 2007 del 5 per cento, praticamente uguale al dato del 2006. Il Fondo per primo ammette che è un 5 per cento più vulnerabile, ma è comunque il punto di partenza più probabile. Spetta a chi lo contesta l’onere della prova di quello che dice. Finora si è sentito parlare solo di crisi dell’immobiliare. La discesa del settore, in America, è stata però quest’anno. L’anno prossimo non ci sarà ripresa, ma non ci sarà nemmeno ulteriore indebolimento.

Bassissima crescita della produttività. Qui si confondono, a nostro avviso, due aspetti del problema. Il primo è un calo di medio lungo periodo, che è certo (anche perché è in corso da tre trimestri), fisiologico (nella seconda metà di ogni ciclo), forse in parte anche strutturale, ma comunque limitato a mezzo punto percentuale.

Il secondo aspetto è il calo, particolarmente vistoso, del terzo trimestre. E’ un calo una tantum, dovuto alla bassa crescita del Pil (dovuta a sua volta alla caduta delle costruzioni). Poiché la produttività è il prodotto (il Pil) diviso per le ore di lavoro è ovvio che, quando cala bruscamente il Pil, cala bruscamente anche la produttività. Era successa la stessa cosa l’anno scorso nel trimestre degli uragani. Quando il Pil riprende (come sta facendo in questo quarto trimestre) risale anche la produttività.

Il primo aspetto, dunque, è il solo da considerare attentamente. Il danno che può produrre, comunque, non è molto significativo. Va poi tenuto presente che in Europa la produttività è in crescita, mentre in Asia si mantiene molto forte.

Deterioramento dei driver degli utili. Qui gli orsi partono dall’analisi degli utili del terzo trimestre dello S&P 500, cresciuti del 19 per cento anno su anno, e li smontano con questi argomenti

1) Il 19 scenderebbe al 13 se non fosse per le assicurazioni, che quest’anno non hanno dovuto pagare danni per gli uragani

2) Il secondo grande contributore della crescita degli utili, l’energia, ha goduto nell’ultimo trimestre di petrolio alto. Da qui in avanti, per l’orizzonte prevedibile, il greggio sarà più basso e il settore godrà (come il farmaceutico) delle attenzioni indesiderate del nuovo Congresso democratico, ansioso di abbassarne i margini di profitto

3) Il terzo grande contributore, i finanziari, è alla fine del ciclo di crescita degli utili e si prepara a una fase più difficile

4) Fra tre mesi, quando arriveranno gli utili di questo quarto trimestre, la crescita anno su anno sarà già calata dal 19 al 10. Nei trimestri successivi si scenderà ancora. Uno dei guai dell’andare benissimo è che è molto difficile andare ancora meglio l’anno dopo.

Su questi argomenti, tutti almeno in parte condivisibili, si possono fare queste osservazioni

1) Gli uragani saranno frequenti nei prossimi due decenni, ma non ci saranno tutti gli anni e non saranno sempre devastanti come lo sono stati l’anno scorso. Nelle stime di medio termine gli utili delle assicurazioni vanno quindi normalizzati, ma bisogna farlo correttamente. Non ci pare giusto normalizzare il 19 in un 13. Sarebbe più corretto stare a metà strada, cioè al 16.

2) L’energia, quanto a crescita degli utili, avrà certamente vita più difficile, ma ci sarà pure qualche altro settore che, dalla discesa del greggio, si ritroverà con una vita facilitata

3) Il 10 per cento anno su anno fra tre mesi (e anche il 7 a fine 2007) non sarebbe comunque disprezzabile, anzi.

Insomma, pur considerando molto interessanti i calcoli di questi tardopessimisti, non riusciamo a giudicare decisivi i loro argomenti. Ribadiamo che non c’è motivo che giustifichi in questa fase un’espansione dei multipli (con la disoccupazione al 4.4%, che la Fed abbassi i tassi è una pia illusione), ma finché il mercato non fa che riprodurre con il pantografo la crescita degli utili non vediamo ragione di strapparsi i capelli o lanciare severi moniti.

Quanto alle esogene, oggi dimenticate, la loro pericolosità a breve termine appare molto bassa. Il petrolio è docile e resterà tale ancora qualche mese, in attesa che le scorte in eccesso vengano smaltite. Quanto all’Iran, un Bush indebolito si prepara ad accettare le conclusioni della commissione Baker (un gruppo di lavoro bipartisan sull’Iraq) che chiederà quasi certamente di coinvolgere Teheran per uscire dall’impasse irachena. A quel punto eventuali sanzioni sul nucleare saranno solo simboliche.

Ci sono ancora dieci sedute prima di Thanksgiving. Dopo Thanksgiving non è che i ribassi e i consolidamenti siano illegali e perseguiti penalmente, ma per avere un minimo di spazio devono essere motivati in modo molto robusto. Di tali motivazioni non si vede l’ombra, per il momento.

Resta solo da augurarsi di tutto cuore che il rialzo di fine anno sia moderato, responsabile e prudente. Sarà dura.

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