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Produttività e crescita, l’uovo e la gallina o… c’è altro?

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Un intrigante articolo del New York Times mette in discussione l’opinione comune e diffusa che la mancata crescita economica sia dovuta alla mancata crescita della produttività. Volendola dirle in altro modo: è la bassa produttività che causa una crescita lenta o la crescita lenta è la causa della bassa produttività?

A favore della seconda ipotesi vi è un recente studio di un think tank americano, il Roosevelt Institute. Oltre a sostenere, dati alla mano, che non è affatto vero che si è recuperato il gap pre-crisi, la causa è sopratutto una debole domande di prodotti e servizi che non stimola le aziende a fare investimenti, rende il mercato del lavoro fiacco e deprime i salari. Tale consecutio però è mia, non dell’articolo, ed è una mancanza gravemente diffusa; più avanti illustrerò il perché.

L’articolo prosegue sui legami di causa effetto tra tecnologie disponibili, che però non aumentano la produttività per mancanza di investimenti su larga scala (vengono fatti a macchia di leopardo solo per sostituire macchine e software obsoleti) e mancanza di produttività, con le sue conseguenze sul mercato del lavoro e il livello dei salari. Si arriva dunque a concludere con la battuta dell’autore dello studio.

“Il lunedì e mercoledì gli economisti sostengono che gli stipendi sono bassi perché i robot stanno prendendo il lavoro delle persone (e dunque dovrebbero consentire di aumentare la produttività, N.d.T.). Il martedì e giovedì dicono che non possiamo avere un aumento dei salari perché la produttività è bassa. Entrambe le affermazioni possono essere vere”.

E’ allora davvero il problema è nei termini di se è nato prima l’uovo o la gallina. Purtroppo rimane tale se si perde di vista, come si è perso nell’articolo così come nel dibattito pubblico, la fonte principale di un qualsiasi sviluppo: la mancata forte richiesta di prodotti e servizi. Perché non vi è una forte domanda di prodotti e servizi, nonostante l’abbondantissima disponibilità tecnologica che consentirebbe di crearne di nuovi e a prezzi contenuti, in presenza della quale tutti i tasselli andrebbero a posto?

La risposta è tanto semplice quanto profonda: non abbiamo più voglia di acquistare questi prodotti e questi servizi!
Il loro “senso” ormai si è perso, è solo funzionale, e come tutte le funzionalità siamo disposti a soddisfarle al minor prezzo possibile (che scoraggia le aziende a fare investimenti, ad assumere persone, eccetera, eccetera).

Certo ci sono ancora aziende che propongono prodotti e servizi con un forte significato, ma sono troppo poche per far andar bene l’economia nel suo complesso. Questo è vero in Italia (troppo poche Luxottica e Brembo rispetto alle numerosissime Saipem e Tenaris) come negli USA (“l’economia ha bisogna delle Amazon ma ha solo le General Electric” recita un articolo di Fox Business).

Volendo andare più nel profondo: prima vi era un contesto chiaro a tutti e da tutti desiderato (uno stile di vita “americano”) grazie al quale era relativamente facile far emergere significati dal suo interno. Oggi non vi è un contesto altrettanto chiaro e diffuso, ma questo viene percepito come una minaccia dalle aziende, che si appiattiscono di conseguenza a offrire funzionalità secondo il vecchio modello, e non come una opportunità, la facoltà di creare il proprio contesto.

Le prove di questa mia affermazione è nei progetti di futuro delle aziende: pochi sono pubblici (che già dimostra la loro insipienza: si teme vengano “copiati”) e quei pochi disponibili parlano solo di efficienza e di ritorno per gli azionisti (ma che frega a me consumatore di comprare un prodotto o servizio per far ingrassare i soci dell’azienda che li produce…). Ma vi sono evidenze anche dalle assemblee degli imprenditori (basta ascoltare le dichiarazioni quotidiane del presidente di Confindustria tutte rivolte alla richiesta di supporti invece di fustigare la pigrizia degli associati), nel dibattito politico (piegato alla ricerca di consenso nel mondo economico invece di chiedere sostegno alla realizzazione di un progetto paese che purtroppo manca) e in ogni angolo della nostra, ma non solo nostrana, società.

Allora il modo di risolvere il problema dell’uovo o la gallina è quello di lanciare e sviluppare l’unico dibattito che avrebbe senso per uscire da questo stato di stallo: che società desideriamo, che consentirebbe alle aziende di realizzarla, che ci restituisca la voglia di costruirla e sostenerla?