
Il mondo del private banking guarda sempre più con interesse al mondo degli investimenti alternativi come il private equity e il venture capital. Per capire come si stanno muovendo i principali operatori del mercato abbiamo incontrato Simone Alfredo Garofalo, direttore investimenti alternativi di Banca Investis.
Garofalo, si parla sempre di più di investimenti alternativi in titoli non quotati, voi di Banca Investis come vi state muovendo su questo fronte?
Stando alle stime di Prequin & Opelesque, il settore degli investimenti alternativi (inteso come Private Equity, Hedge Funds, Real Estate, Commodities, Infrastructure, Venture Capital, Private Debt e Collectibles/Art, ndr) arriva ad una cifra equivalente di circa 13-17.000 miliardi di dollari. Il mercato negli ultimi anni è cresciuto in modo significativo grazie in particolare agli UHNWI e agli investitori istituzionali, alla costante ricerca di opportunità di diversificazione del loro portafoglio.
Analizzando tale dinamica attraverso la lente delle esigenze del capitale privato, che resta il Dna di Banca Investis, ci siamo già cimentati in iniziative di private equity e venture capital, privilegiando il settore della tecnologia e della space economy con operazioni su aziende leader nel proprio settore come Groq (società americana che produce chip espressamente progettati per l’intelligenza artificiale, ndr), OpenAI (leader mondiale nel campo dell’AI) e D-Orbit (azienda italiana focalizzata sulla logistica spaziale), dove abbiamo complessivamente investito più di 120 milioni di dollari.
Quali settori ritenete più promettenti sul fronte della tecnologia?
L’AI é il settore che ha fatto maggiormente da traino ai rendimenti di larga parte dei portafogli finanziari, diventando in questi ultimi 4-5 anni quasi una “asset class” a sé stante. Noi crediamo che l’Intelligenza Artificiale possa rappresentare un reale fattore critico di successo sia dei paesi che delle aziende, essendo la società proiettata verso una direzione che vedrà sempre di più la tecnologia quale colonna portante.
Inoltre, questa dinamica sta comportando un’enorme crescita dei consumi energetici che ci obbliga a riflettere sulla necessità di avere infrastrutture adeguate a supportare queste aziende (che è attualmente carente, in particolare in Italia). Proprio per questo motivo abbiamo recentemente investito in un fondo VC statunitense focalizzato sul settore dell’energia che ha da poco sottoscritto un term sheet con The Nuclear Company, azienda americana che si occupa di realizzare una flotta di impianti nucleari su larga scala, attraverso l’approccio “progetta una volta, costruisci molte volte”.
Che tipo di rendimenti possono aspettarsi i vostri clienti da queste asset class?
Gli investimenti già effettuati in ambito venture capital / private equity hanno mediamente maturato un rendimento di 1.5x in 6 mesi (siamo solo all’inizio). Ovviamente si tratta di investimenti illiquidi che devono essere valutati su un orizzonte temporale di circa 6-7 anni, che in linea di massima crediamo possano comportare un ritorno di 7x il capitale investito.
Che peso devono avere questi investimenti nel portafoglio di un cliente private?
Il peso appropriato per gli investimenti alternativi in un portafoglio dipende da diversi fattori, come gli obiettivi finanziari del cliente, la tolleranza al rischio, l’orizzonte temporale dell’investimento e la strategia complessiva di diversificazione del portafoglio.
Volendo generalizzare, per la maggior parte degli investitori gli investimenti alternativi solitamente costituiscono dal 5% al 20% del portafoglio complessivo, in modo tale da conservare un equilibrio tra il conseguimento di benefici di diversificazione e il mantenimento di un livello ragionevole di rischio.