
NEW YORK (WSI) – La drammatica e continua discesa dei prezzi del petrolio è tale e l’offerta della materia prima è così in sovraccarico, che alcune società di trivellazione dell’impero dei fratelli Koch sono disposte a pagare mezzo dollaro per ogni barile di greggio venduto. È il caso paradossale venutosi a creare nel North Dakota per il business del greggio di bassa qualità.
È un chiaro sintomo di quanto sia grave la crisi in cui versano i produttori di petrolio americani. Per la verità il greggio ad alto contenuto solforico (con una quantità superiore all’1% di zolfo) “rappresenta una piccola fetta della produzione dello Stato Usa, con meno di 15 mila barili di greggio che vengono prodotti ogni giorno”, come ha ricordato a Bloomberg John Auers, vice presidente esecutivo di Turner Mason.
“La produzione è stata ridimensionata negli ultimi tempi a causa del successo del petrolio a basso contenuto solforico (meno dell’1% di zolfo) prodotto nei bacini di petrolio di scisto di Bakken, nella parte occidentale dello Stato”.
Negli ultimi dieci anni la produzione è salita fino a toccare gli 1,1 milioni di barili al giorno. Il petrolio Sour è più caro perché richiede maggiori trattamenti di quello Sweet e perciò viene offerto a prezzi più convenienti sul mercato.
Come sottolinea sempre Bloomberg, per via degli elevati costi di raffinazione uniti ai bassi prezzi di vendita, che hanno evidentemente azzerato le possibilità di guadagno, “nel 2011 Enbridge ha smesso di produrre greggio ad alto contenuto solforico nelle sue pipeline del North Dakota, obbligando i produttori del settore a fare affidamento su mezzi di trasporto più cari come camion e treni”.
Il prezzo del bitume diluito canadese – la sostanza utilizzata per abbassare la viscosità del greggio che è al centro dell’acceso dibattito politico ed ambientale riguardante i pro e contro dell’oleodotto Keystone XL di TransCanada – è così sceso a 8,35 dollari la settimana corsa. Due anni fa valeva 80 dollari.
Da questi numeri si evince facilmente la portata della crisi. L’eccesso di offerta globale della preziosa risorsa – anche detta ‘oro nero’ – ha raggiunto un livello tale che le condizioni di mercato ormai costringono i produttori a pagare per fornire petrolio.
La situazione difficilmente migliorerà fino a quando il mercato non avrà assorbito i nuovi fiumi di barili provenienti dall’Iran e finché l’Arabia Saudita non accetterà di abbassare i livelli di produzione dei maggiori paesi esportatori al mondo – in questo senso il primo passo lo hanno compiuto solo Russia e Oman, Stati che però non sono membri del cartello dell’Opec.
Fare affari nel petrolio non solo provoca perdite per le aziende del settore, ma è diventato un esercizio di futilità sadomasochistica.
Fonte principale: Bloomberg