Pensioni: nuova batosta, aumenti rinviati al 2023. Quanto si perde ogni mese
17 Novembre 2020, di Mariangela Tessa
Pensioni sempre più sottili, perdono colpi a causa blocco delle indicizzazione delle pensioni. Un processo che va avanti dal 2011. E che ha subito un nuovo rinvio all’1 gennaio 2023.
A denunciarlo è il sindacato Spi-Cgil dopo aver visionato la bozza della prossima legge di bilancio.
”Nello specifico l’articolo 61 prevede lo slittamento al 2023 del sistema di rivalutazione in vigore prima dei molteplici blocchi messi ripetutamente in atto dal 2011″.
Il meccanismo doveva essere ripristinato dal 1° gennaio 2022 e avrebbe garantito un maggiore recupero del potere d’acquisto delle pensioni, fortemente eroso negli ultimi dieci anni.
‘‘Ancora una volta – spiga l’organizzazione sindacale- si sceglie quindi di mettere le mani nelle tasche di una categoria che ha già dovuto pagare pesantemente le scelte politiche ed economiche dei vari governi che si sono succeduti. È un errore e una profonda ingiustizia, resa ancora più insopportabile perché fatta di nascosto e senza passare da alcun confronto con i Sindacati che rappresentano milioni di pensionati”.
Pensioni, che cosa è la perequazione
Sotto i riflettori c’è la cosiddetta perequazione, che identifica la rivalutazione dell’importo delle pensioni legato all’inflazione.
A differenza dei redditi da lavoro, il valore mensile delle
pensioni è stabilito in base a una precisa formula di calcolo che, in linea teorica, lo definisce una volta per tutte. Per garantire ai percettori della pensione, importi adeguati alle eventuali variazioni (al rialzo) di inflazione e costo della vita, è previsto un meccanismo di adeguamento periodico, la cosiddetta
perequazione automatica, pensata appunto per proteggere il potere d’acquisto, che altrimenti rischierebbe di subire un’erosione costante nel tempo. L’ultimo adeguamento si è registrato nel 2011.
Come funziona
La perequazione si calcola sulla base dell’indice
ISTAT, dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, dapprima in forma di indice provvisorio e, a seguire, in via definitiva come indice da conguagliare a inizio anno. Al termine di ogni anno, il Ministero dell’Economia e delle Finanze emana un decreto che fissa “in via previsionale” la variazione percentuale che dovrà essere applicata ai trattamenti pensionistici mensili dell’anno successivo.
Proprio perché provvisorio, tale valore sarà poi sostituito – al termine dell’anno stesso – da un indice di variazione definitiva, sulla base del quale sarà effettuato un conguaglio che appiani le eventuali divergenze tra la stima iniziale e il valore poi effettivamente riscontrato.
Ma quanto perdono con precisione i pensionati?
I calcoli li aveva fatti mesi fa la Uil avevano indicato che, in nove 9 anni, una pensione di 1.500 euro lordi mensili nel 2011, ha cumulato una perdita complessiva pari a 74,03 euro al mese, ossia 962,39 annui; un pensionato con un assegno di 1.900 euro lordi mensili nel 2011 ha subìto nello stesso periodo un mancato incremento di circa 1.378,83 euro lordi lordi annui.
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