Società

P4: l’inchiesta su Bisignani una bomba dentro Palazzo Chigi

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Roma – Il capo del governo sostiene di non avere paura di nessuno, tantomeno dei giudici, ma il caso P4 ha gia’ sconvolto il paese e rischia di diventare molto dannoso per il governo. Il timore, già emerso nelle scorse ore, è che l’inchiesta possa lambire altri esponenti del centrodestra. Non è un caso che stamane a Palazzo Grazioli si sia tenuto un vertice tra il premier, Gianni Letta, Angelino Alfano e Niccolò Ghedini. La preoccupazione, nell’immediato, è una nuova ondata di rivelazioni sulla stampa, se non addirittura l’emergere di nuovi indagati.

L’indagine e’ la prova che dopo il referendum che ha abrogato definitivamente il legittimo impedimento le procure sono tornate all’assalto: Silvio Berlusconi in Cdm ribadisce a Gianni Letta la sua stima e fiducia, ma non nasconde con i suoi interlocutori i timori per l’inchiesta sulla cosiddetta ‘P4′. Tutto il Pdl e’ schierato al fianco del braccio destro del premier, tirato in ballo nell’indagine che ha portato Luigi Bisignani agli arresti domiciliari.

Naturalmente da parte del partito di via dell’Umilta’ c’e’ la volonta’ nel testimoniare il valore della figura del servitore dello Stato, ma anche il sospetto che siano in arrivo provvedimenti giudiziari che possano provocare un altro scossone all’esecutivo. Nella maggioranza e’ scattato l’allarme: se puntano al bersaglio grosso, allora vuol dire che ci sara’ un colpo di Stato, si spinge a dire un ministro.

A riprova dell’aria tesa che si respira tra i seggi della maggioranza, e’ stato indetto un vertice straordinario. Di buon mattino Silvio Berlusconi, insieme ad Angelino Alfano e Niccolo’ Ghedini, si confronta con Letta. La linea e’ quella di respingere ogni attacco, ma la preoccupazione resta, anche perche’ – riferiscono fonti parlamentari del Pdl – non si conosce ancora la reale portata dell’inchiesta. Il timore e’ che ci possano essere sviluppi e che le indagini napoletane possano sfociare anche in un filone romano dell’inchiesta.

Molti parlamentari del Pdl fanno notare come il sottosegretario alla presidenza del Consiglio non goda dell’immunita’ parlamentare, “in quanto – sottolinea anche Pier Ferdinando Casini – ha sempre rifiutato di stare in Parlamento per mettersi al servizio gratuito della politica”.

Il sottosegretario nel corso della giornata ha avuto colloqui con Napolitano e il presidente della Camera, Gianfranco Fini. A chi lo ha incontrato ha ribadito di essere completamente estraneo alla vicenda. Vicenda ritenuta un teorema giudiziario basato sul nulla. Sono cose che non esistono, e’ stata la risposta dell’interessato ad un esponente dell’esecutivo preoccupato per la situazione.

Da tempo il presidente del Consiglio ritiene che ci sia un attacco giudiziario in corso e ha ribadito ai suoi la volonta’ di opporsi con tutte le forze ad ogni offensiva dei magistrati. “Io non ho paura di nessuno, la maggioranza tiene assolutamente”, ha spiegato anche ai cronisti.

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Bisignani l’uomo dei misteri, da P2 a Enimont
15 giugno, 18:30

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Scrivi alla redazione Suggerisci ()ROMA – “Qualunque cosa ti faccia comodo sul serio, la vera forza di Bisignani si chiama Ior”. A svelare forse il segreto più importante dell’uomo dei misteri e dei contatti con i potenti finito ai domiciliari nell’inchiesta della procura napoletana sulla P4, fu il banchiere-faccendiere Pier Francesco Pacini Battaglia in una telefonata intercettata con Emo Danesi nel pieno della bufera di Tangentopoli. Due uomini piuttosto addentro ai segreti della Prima Repubblica. Erano gli anni novanta e Luigi Bisignani, già allora, era un nome che contava nella Roma dei Palazzi e del potere. Un nome costruito all’ombra della Dc. Nato nel 1953 a Milano da un importante dirigente della Pirelli per molti anni in Argentina, quando muore il padre riceve una consistente eredità. Ma quel che conta non sono i soldi ma il lascito di relazioni politiche. Tanto che Danesi, sempre in quella telefonata con Pacini Battaglia, racconta così il suo primo incontro con Bisignani: “Ci siamo visti…diamoci subito del tu…volentieri…poi m’ha detto che andava a giocà a carte con Andreotti”. Se sia così forte il legame con il sette volte presidente del Consiglio è ancora da dimostrare. Certo è che è Andreotti in persona a presentare nel 1988 ‘Il sigillo della porpora’, sua primo giallo cui fa seguito ‘Nostra signora del kgb’, nel 1991: bastano le due fatiche letterarie per far dire a qualcuno che Bisignani è il nuovo Ken Follet italiano.

Ex giornalista, consulente aziendale, finanziere, ex direttore delle relazioni esterne del colosso Ferruzzi-Montedison, il suo nome viene trovato nell’ ’81 negli elenchi della P2 in casa di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi: non uno qualsiasi, secondo gli inquirenti, ma un reclutatore. Un colonnello. Nonostante fosse il piu’ giovane dell’intero elenco. Gherardo Colombo, il pm che scoprì quella lista, lo colloca nella categoria degli ‘inquinatori’, uomini sconosciuti ma potentissimi che hanno passato anni ad avvelenare la vita democratica della Prima Repubblica. Lui, allora giornalista dell’Ansa, non fece una piega e replicò con una nota: “seguo da tempo per l’Ansa le notizie sulla massoneria e conosco, pertanto, molti alti elementi della massoneria, compreso Licio Gelli. I quali abitualmente mi fanno avere i loro comunicati in redazione. Smentisco però categoricamente la mia appartenza a qualsiasi loggia massonica, compresa, ovviamente, la P2”. Non poté smentire, però, il suo coinvolgimento nella maxitangente Enimont. La madre di tutte le tangenti. L’ordine di arresto del Pool di Milano arriva 6 mesi dopo la sua nomina, a 39 anni, a direttore delle relazioni esterne del gruppo Ferruzzi e direttore generale della sede di Roma: l’accusa è di violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti. Bisignani quel giorno però è all’estero: ci mette un anno per costituirsi e farsi interrogare da Di Pietro e Colombo. Che dall’ex amministratore della Montedison Carlo Sama avevano già saputo che Bisignani aveva fatto da intermediario con lo Ior, la Banca Vaticana, per la trasformazione in contanti di 92 miliardi in Cct da utilizzare per il pagamento di tangenti “a quella parte della Dc – racconto Sama – che faceva capo a Pomicino e quindi alla corrente di Andreotti”. Sul conto aperto da Bisignani allo Ior transitarono 108 miliardi. “Presso la banca Vaticana – ricorda in un libro Angelo Caiola, alla guida dell’istituto dal 1989 al 2009 – disponeva da anni di un conto personale, chiedendo di accreditare il ricavato su un conto cifrato estero”.

La sentenza definitiva per l’intera vicenda arrivò nel 1998: 2 anni e 6 mesi. Una condanna che gli è costata anche la radiazione dall’albo dei giornalisti. “Ha svolto – è stata la motivazione – con continuità attività lucrose costituenti reato e afferenti a compiti del tutto estranei alla professione giornalistica”. Era già fuori, dunque, quando il suo nome fini nell’inchiesta dei pm Colombo e Boccassini sull’Alta Velocità e, anni dopo, in “Why not”, l’indagine dell’attuale sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, allora pm a Catanzaro, in cui entrarono anche Romano Prodi e Clemente Mastella. Ora il suo nome torna ad essere accostato ai palazzi del potere: Bisignani, scrivono i magistrati nell’ordinanza, è “ascoltato consigliere dei vertici aziendali delle più importanti aziende controllate dallo Stato (Eni, Poligrafico dello Stato, Rai ecc), di ministri della Repubblica, sottosegretari e alti dirigenti statali”.