15:09 venerdì 30 Ottobre 2015

Guerre valutarie: gli investitori devono armarsi?

A cura di Alan Cauberghs, Senior Investment Director, Fixed Income, Schroders

Le “guerre valutarie” sono diventate un tema ricorrente nei titoli dei giornali, ma che cosa è esattamente una guerra valutaria e in che modo colpirà gli investitori?

I mesi estivi del 2015, in particolare agosto, hanno destato preoccupazione per gli investitori. Il forte sell-off sui mercati azionari e la volatilità dei mercati obbligazionari sono stati resi ancora più snervanti a causa dei segnali contrastanti provenienti da diverse regioni economiche.

Da un lato, continuiamo a vedere un rafforzamento dei dati economici negli Stati Uniti e nel Regno Unito e un quadro stabile dei progressi registrati nell’Eurozona. Dall’altro, abbiamo il governo cinese e la People’s Bank of China (PBoC) che implementano importanti cambiamenti nella politica monetaria per sostenere l’economia in rallentamento. Nel frattempo, il prezzo del greggio resta fermo ai minimi da oltre sei anni. Gli allarmanti titoli giornalistici, che alludono ad una “guerra valutaria”, non aiutano.

In poche parole, una guerra valutaria è una svalutazione o un deprezzamento intenzionale nel valore della moneta domestica di un’economia. Ciò si riferisce all’operazione attuata dalla Banca centrale di un Paese, in generale attraverso la riduzione del valore della propria valuta in modo da guadagnare competitività e incrementare le esportazioni. Su tali basi, si potrebbe affermare che l’operazione annunciata dalla PBoC in agosto non rappresenti affatto una guerra valutaria.

Dal 1994, la Cina ha legato la sua valuta al dollaro americano, salvo un’interruzione di tre anni dal 2005 al 2008, durante la quale era permesso l’apprezzamento del renminbi. Ad agosto 2015, la PBoC ha portato il tasso di riferimento in linea con il tasso del mercato. Soltanto il tempo dirà se tale operazione abbia effettivamente sostenuto l’economia. A nostro avviso, la decisione è stata dettata più dalla volontà della Cina di far diventare il renminbi una valuta di riserva: per far sì che ciò avvenga, uno dei criteri adottati dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), è che sia il mercato a decidere il tasso di cambio e non la PBoC.

Di per sé, questa osservazione fa venir meno l’idea che la decisione della PBoC sia stata soltanto una tattica in una guerra valutaria. Inoltre, la transizione multi-decennale della Cina da un’economia incentrata sull’export e sul manifatturiero a una guidata principalmente dal settore dei servizi e dalla domanda domestica non sarà facile e causerà probabilmente ulteriori fluttuazioni del renminbi. La PBoC ha dichiarato che l’operazione era stata attuata al fine di attenuare l’inevitabile volatilità della valuta.

Guardando ad altre economie all’interno del gruppo dei “BRIC” – che include il Brasile, la Russia, l’India e la Cina – il deprezzamento valutario nel 2015 è stato drammatico. Il real brasiliano e il rublo russo hanno visto forti svalutazioni delle proprie valute quest’anno, ma ciò è stato causato dalla vulnerabilità economica e non dal coinvolgimento delle Banca centrale.

La valuta, e la sua forza relativa, è naturalmente ancora un fattore molto importante quando si parla di mercati. Durante l’incontro di settembre, la Federal Reserve ha posticipato al più presto a dicembre un incremento dei tassi d’interesse. La decisione ha calmato alcuni investitori preoccupati per le valute asiatiche. Ciò è dovuto al fatto che negli ultimi anni il finanziamento in dollari americani è aumentato drasticamente in Asia e difendere le valute locali da un dollaro più forte implicherebbe fare uso di preziose riverse in valuta estera.

Durante l’incontro della Federal Reserve, il presidente Janet Yellen ha dichiarato che “un incremento delle preoccupazioni riguardo alla crescita in Cina e nelle economie degli altri Mercati Emergenti ha portato a una volatilità considerevole sui mercati finanziari”. Il presidente ha continuato dichiarando che l’importanza di questa vulnerabilità dei Mercati Emergenti non dovrebbe essere esagerata in termini di ripercussioni sulla politica monetaria statunitense. Tuttavia, una delle ragioni più importanti citate per il rinvio dell’aumento dei tassi d’interesse è stata la debolezza dell’export a stelle e strisce: la Cina è il secondo partner commerciale più grande per gli Stati Uniti.

Nel breve termine l’incertezza rimarrà un elemento molto importante per gli investimenti, sia se attribuita a un aumento dei tassi d’interesse da parte della Fed – che se lo attende ancora nel 2015 – sia se attribuita alle preoccupazioni sulla crescita economica globale. Nonostante tutto, l’importanza data alla guerra delle valute è esagerata. Riteniamo che gli investitori debbano rimanere consapevoli dei movimenti delle valute: le valute dei Mercati Emergenti dovrebbero rimanere deboli e volatili. Non importa quali siano le ragioni cinesi dietro l’indebolimento della propria valuta, sono gli Stati Uniti che detengono il vantaggio nella forza economica.

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