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Mix micidiale tasse-inflazione: famiglie perdono 1.000 euro l’anno

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ROMA (WSI) – Le famiglie italiane stringono la cinghia. Frase fatta che in questo periodo di campagna elettorale è assai ricorrente, ma che interpreta con chiarezza i dati Istat pubblicati ieri.

In modo più puntuale si può dire che, tenuto conto dell’andamento dell’inflazione, il potere di acquisto delle famiglie consumatrici (cioè il reddito disponibile in termini reali) nel terzo trimestre del 2012 è diminuito del 4,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, portando con sé l’effetto prevedibile che la spesa è scesa del 2,2%.

Nessuno stupore. Sono mesi ormai che le associazioni dei consumatori lamentano l’impoverimento dei cittadini italiani, siano essi single o in coppia, con o senza figli. Dall’altro lato anche Confcommercio ha lanciato diverse grida d’allarme, specie all’annuncio mesi fa dell’aumento dell’Iva. Anche i sindacati in più occasioni hanno detto la loro.

Uno studio della Cgil a settembre prevedeva il crollo dei consumi per le famiglie operaie nel triennio 2012-2014 per effetto di inflazione, disoccupazione e pressione fiscale. La caduta, purtroppo, è già in corso e nell’ultimo decennio il potere d’acquisto ha subito una decisa frenata.

Infatti, se in termini nominali il reddito netto familiare medio per una coppia con un figlio è cresciuto dal 2003 al 2011, così come quello di un single (certo in entrambi i casi con differenze abbastanza sensibili a seconda delle aree geografiche), bisogna tenere in considerazione anche gli effetti dell’inflazione. A conti fatti, una coppia con un figlio ha perso circa mille euro all’anno, un single circa la metà.

Nell’ultimo periodo le famiglie hanno dovuto misurarsi oltre che con l’impoverimento salariale anche con la variabile occupazione, poiché nell’ultimo decennio il lavoro è diventato sempre più precario e in una coppia è possibile che uno dei due abbia perso il posto o abbia sperimentato forme diverse di contratto.

Nelle medie dell’Istat rientrano tutti, sia coloro che hanno un posto fisso, sia i precari, sia gli autonomi. Ovviamente si tratta di statistiche, dunque alcune categorie si sono impoverite più rapidamente di altre. Ma che la situazione sia preoccupante lo ha segnalato due giorni fa anche la Commissione europea. Nel suo rapporto annuale sull’occupazione e gli sviluppi sociali dei 27 Stati membri, l’Italia viene descritta non lontana dalla «trappola della povertà di massa», poiché quasi un quarto dei suoi abitanti corre «un alto rischio di entrare nella povertà» e ha «scarse probabilità di uscirne».

Se si confrontano più nel dettaglio la spesa di un single e di una famiglia con un figlio, distinguendo per area geografica (nel grafico abbiamo semplificato indicando Milano e Roma, ma le cifre si riferiscono a Nordovest e Centro), e prendendo come tempo di riferimento il 2003 e il 2011 (ultimi dati Istat disponibili), si assiste a un aumento in termini nominali dell’esborso mensile.

Ma se si calcola l’incidenza sul reddito depurato dall’inflazione delle singoli voci di spesa, la fotografia che ne esce mostra come le spese non comprimibili ora pesino molto di più. Se nel 2003 per un single milanese il cibo pesava sul reddito netto intorno al 19%, ora incide per il 24%, mentre le spese per la casa sono passate da un quasi 37% a circa il 53%.

Stesso trend per una famiglia che vive nel capoluogo lombardo: la spesa alimentare nel 2003 pesava intorno al 17% ora il 21%, mentre la casa è passata dal 23,7 al 33,3%. Si tenga presente che in questi calcoli non viene presa in considerazione l’Imu.

Tutte le voci sono in crescita? No. Dove è possibile risparmiare, le famiglie tagliano. E se cibo, affitto, bollette non si possono tagliare, si interviene ad esempio sull’abbigliamento, che adesso influisce meno sul bilancio familiare. Il trend non è diverso a Roma.

Il dato che colpisce di più, a prescindere dalla tipologia familiare, riguarda l’incidenza della spesa alimentare, che dopo la discesa «secolare» cominciata nel dopoguerra, ora torna a salire. I consumi si diversificano, ma con la compressione delle spese voluttuarie l’incidenza del cibo cresce anche se in termini reali le famiglie fanno più attenzione e spendono meno. [ARTICLEIMAGE]

Tendenza confermata ieri dalla Coldiretti, che ha elencato gli alimenti a cui gli italiani hanno deciso di rinunciare: pesce fresco (-3,4%), vino (-3%) e frutta (-1,9%), preferendo pasta, gnocchi e uova.

«Con la crisi – ha sottolineato l’associazione degli agricoltori – non è cambiato solo il menu degli italiani, ma si sono anche ridotte nel 2012 le quantità di prodotti alimentari complessivamente acquistate dalle famiglie dello 0,6%».

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Corriere della Sera – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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