Editoriali

Quanto è scomodo chiamarsi Aurelio De Laurentiis ?

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Quanto è scomodo chiamarsi Aurelio De Laurentiis? Se lo starà chiedendo il Presidente del Napoli, in questi giorni in cui, a fronte di tanti messaggi di vicinanza, di pronta guarigione, ha ricevuto migliaia di offese, attacchi su tutti i fronti.

L’immagine di Aurelio De Laurentiis che esce da un famoso hotel di Milano, senza mascherina e risponde alle domande di tanti giornalisti assembrati attorno a lui, alcuni di questi senza mascherina anche loro, si è trasformata nell’icona di un momento da demonizzare, da sottolineare, da evidenziare, da condannare. Non portare la mascherina in pubblico è un errore che può costare caro, lo è altrettanto fare assembramenti in un momento in cui il Coronavirus continua la sua azione di contagio. Comportarsi come si è comportato De Laurentiis, non mettere la mascherina, per lui che rappresenta un’icona pubblica, e quindi come tale punto di riferimento per tanti, è sbagliato. E’ concesso a noi poveri mortali, a lui no. E’ scomodo ancor di più se scopri, qualche ora dopo, ed essendo un personaggio pubblico lo scopre anche tutto il Mondo, di essere positivo al Covid-19.

Personalmente sono venuto a conoscenza della positività di Aurelio De Laurentiis da Carmine Perantuono, direttore di Rete8. Quando leggo il suo nome sul display del mio smartphone rispondo distrattamente. “Hai saputo del presidente del Napoli? Sarà il caso che anche tu faccia un tampone?”. Sono appena le nove del mattino di giovedì e la giornata cambia radicalmente. Da quel momento il telefono comincia a scottare. Tutti mi chiedono come mi senta, quanto sia stato a contatto con De Laurentiis. Tutti mi chiedono se nel realizzare le due trasmissioni registrate con lui 7 giorni prima, e soprattutto nel costruire l’intervista in esclusiva per il giornale che dirigo, mi fossi tenuto a distanza da lui, abbastanza da non aver rischiato di essere contagiato. Tutti mi chiedono se avessi utilizzato la mascherina.

Il mondo attorno a me si agita, va in fibrillazione, a cominciare dai familiari più stretti.

Io sono consapevole che il virus giri ancora e molto di più di quanto non ci raccontino le cronache. Tutti gli studi (Istat) e tutte le misurazioni (vedi quella sulla popolazione scolastica), sia le statistiche realizzate rapportando tamponi fatti e infetti registrati, ci indicano in un minimo del 3% la popolazione potenzialmente infetta. Ciò vuol dire che ogni cento persone che incontriamo tre rappresentano per noi un rischio di contagio, il brutto della vicenda è che noi non sappiamo quasi mai di chi si tratti. Insomma, in Italia ce ne sarebbero in giro, almeno 1,8 milioni. (il 3% di 60 milioni di abitanti in Italia), ma è facile immaginare che in alcune zone le percentuali siano molto più alte, basterebbe leggere le cronache ed i numeri per rendersene conto.

Cerco, per quanto sia possibile, di evitare gli assembramenti e cerco di ricordare di indossare, dove serve, la mascherina.

Ma gli incontri con De Laurentiis?

Anche in questo caso i comportamenti da me adottati sono stati relativamente corretti.

Inoltre, avendo avuto rapporti di lavoro con il mondo Napoli, con l’ufficio stampa della società partenopea e con il presidente stesso, ho avuto modo di toccare con mano la rigidità e la scrupolosità nell’attenzione alle procedure anti-covid adottate dalla dirigenza, sia in rispetto delle regole imposte da Lega Calcio e Comitato Scientifico, sia proprio su indicazione del massimo dirigente azzurro.

Anzi, le procedure erano talmente rigide, che anche a me, un esterno al loro mondo, è stato chiesto di “testare e certificare” il mio stato di salute prima di entrare a contatto con loro e con il presidente in maniera particolare.

Il Napoli, in ritiro a Castel di Sangro, è stato tenuto in una “bolla protetta” e continuamente controllata. La routine dei controlli imponeva, e credo lo imponga tuttora, di effettuare almeno due tamponi alla settimana, al Napoli ne fanno anche tre. Aurelio De Laurentiis, essendo al seguito della squadra, si è sottoposto alla stessa routine.

Ecco perché, quando ho visto la quantità di accuse cui il presidente del Napoli è stato sottoposto, mi sono meravigliato. Mi sono meravigliato anche perché avendolo conosciuto personalmente in questi giorni, ho avuto modo di apprezzare l’uomo, l’uomo che c’è al di là delle sue uscite, delle sue dichiarazioni molto forti, ed è un uomo che ho visto molto attento agli altri.

Non metto in dubbio che a tratti possa sembrare spigoloso, a momenti duro e arrogante, ma conoscendolo meglio per i motivi che sto raccontando e superata quella che è la facciata esterna che spesso emerge dal punto di vista mediatico, ho visto anche altro, ho visto l’uomo che poi ho raccontato nell’intervista per il nostro magazine (Wall Street Italia).

Lui vive da protagonista in un mondo che è sempre sotto i riflettori, in cui telecamere e microfoni sono sempre accesi, puntati addosso e pronti a registrare ogni cosa.

De Laurentiis è a capo di un’azienda che di questo mondo fa parte. Come tale, e per sua natura, tende ad esprimersi, lui lo fa senza mezze misure, magari molte volte anche oltre le misure, ma con l’unico intento di guardare al risultato d’impresa.

E nessuno può dire che l’impresa Napoli non vada bene.

De Laurentiis l’ha presa in serie C, l’ha portata ai massimi vertici del calcio nazionale ed europeo ormai da anni e, a differenza di moltissimi dei suoi omologhi presidenti, è tra i pochi a fare calcio e risultati mantenendo i bilanci societari in forte attivo.

E sono i numeri a parlare per lui, a differenza di ciò che accade nei bilanci di altre società.

E’ questo il tema per il quale s’incavola maggiormente, forse per questo non è simpaticissimo ai suoi colleghi, in qualche caso neanche ai suoi stessi calciatori, spesso trattati come dipendenti (sbagliato?) e non sempre coccolati come i divi del pallone amerebbero che si facesse con loro.

Ma se il calcio è un’impresa, se le società di calcio sono imprese, nessuno può dire che De Laurentiis non sia un ottimo capitano d’impresa.

Naturalmente alcune delle sue esternazioni possono generare molte antipatie, antipatie che, nell’occasione sono sfociate in insulti, affronti e dichiarazioni che in molti casi hanno superato la misura. Chiunque, anche chi non l’ha mai incontrato, che non conosce nulla della sua storia personale, si è sentito in dovere di  dire la sua sull’argomento.

Neanche il sindaco di Napoli si è tenuto fuori dalla vicenda.

Aurelio De Laurentiis ha fatto il tampone perché pensava di aver contratto il Covid-19 e nonostante ciò si è recato ugualmente in riunione a Milano? No, lui ha fatto quelli di routine, (così confermano poi dal Napoli) come tutto il gruppo squadra, non perché pensasse di essere malato, l’ha fatto perché si controllava. Ecco perché ha saputo di essere positivo. Non perché pensasse di esserlo. La sua sintomatologia, la sua indisposizione la sua spossatezza, stando anche alle cronache riportate dalla stampa che ha narrato le vicende dei giorni scorsi, non sarebbe stata di natura respiratoria.

Chi conosce bene i fatti di Napoli e del Napoli, come Antonio Corbo la racconta così:

https://corbo.blogautore.repubblica.it/

https://www.calcionapoli1926.it/video/de-laurentiis-sintomi-coronavirus/

Questi sono i fatti.

Aurelio De Laurentiis ha preso il Covid-19 così com’è capitato a migliaia di persone, non per questo è colpevole.

C’è una differenza.

La differenza sta nel fatto che lui, controllandosi sistematicamente, ha permesso ad altri, i colleghi nel caso specifico, e ai giornalisti che l’hanno incontrato, me compreso, di essere informati e quindi di controllarsi ed eventualmente curarsi in anticipo. Questa non è certo cosa da poco. Se lui non fosse stato tanto scrupoloso nel controllare se stesso, la famiglia, la squadra, probabilmente lui e tanti altri che sono stati con lui, non avrebbero mai saputo del potenziale focolaio di contagio, così come avviene in tante situazioni nelle nostre vite di oggi. Purtroppo.

Eppure lui è stato massacrato, messo alla berlina, vilipeso ed offeso.

E’ giusto così? Giudicate voi, ma dopo aver conosciuto i fatti. Certo ha sbagliato a non indossare la mascherina anche all’esterno,  all’interno è obbligatoria, e questo non può essere motivo di vanto. Dovremmo farlo tutti e sempre.

Forse il mal di pancia avrebbe dovuto tenerlo a casa? Forse avrebbe dovuto indurlo ad essere più prudente? Forse…Ma è per questo che è stato aggredito con violenza o perché è un personaggio scomodo?

Giudicate voi…