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Lotte intestine e privilegi in Banca d’Italia

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ROMA (WSI) – Il presidente e tre consiglieri di amministrazione che fanno causa alla banca che guidano. La Banca d’Italia che conduce una lunga ispezione interna in gran segreto ed evidenzia imbarazzanti irregolarità. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che prende il dossier di petto, e scende in campo con due lettere furibonde, una il 20 luglio e la seconda il 20 dicembre 2012.

E poi la banca rivoltata come un calzino, i consiglieri che hanno fatto causa costretti alle dimissioni, dei quattro cooptati per sostituirli uno solo che accetta: la dottoressa Santa Corsi, consulente della procura di Milano in alcune inchieste di primissimo piano. Una vera tempesta dunque, in qualsiasi istituto di credito. Uno tsunami se si guarda l’istituto in cui tutto questo è accaduto, con esposti, contestazioni e guerre fra fratelli-coltelli: la Csr, e cioè la banca stessa della Banca d’Italia.

La Csr è acronimo della Cassa di sovvenzioni e risparmio costituita fra il personale della Banca d’Italia. È una società cooperativa per azioni sui cui conti correnti vengono depositati gli stipendi del personale della Banca e gli emolumenti dei pensionati della banca centrale. È una delle poche vere banche popolari, di cui però si sa poco o nulla. Per conoscerne l’operatività bisogna essere dipendenti dell’istituito di via Nazionale, ed essere forniti di username e password. A chiunque altro vengono fornite scarne informazioni solo sul patrimonio di vigilanza.

Ogni tanto i sindacati interni ne svelano qualche magagna. Ma con prudenza: sono proprio loro i veri padroni della banca, visto che ogni sigla sindacale decide le sue liste per l’elezione dei vertici della banca da sottoporre all’assemblea dei soci. I grandi sindacati (Falbi, Fisac etc…) di solito preferiscono tacere: la banca è loro. Quelli più piccoli come la Sibc, sindacato indipendente della banca centrale, sciolgono un po’ di più la lingua.

Proprio ieri si lamentavano della severità degli operatori allo sportello della Csr che questa estate hanno complicato le ferie dei dipendenti applicando rigorosamente le nuove regole antiriciclaggio. «Esempio», scrive il sindacato, «il collega che ha bisogno di contante per più di 3.000 euro (perché sta partendo per una vacanza, o per tremila ragioni possibili) dovrà chiederli compilando un modulo per iscritto, riportando nome e cognome delle persone a cui intende dare i soldi, l’importo di ciascun pagamento e anche i motivi per cui effettuerà i diversi pagamenti».

E se le informazioni sono troppo generiche, l’operatore di sportello può rifiutarsi di erogare contanti. «Cosa abbiamo fatto di male noi soci», si chiedono i sindacalisti per meritarci questo regime speciale? Ci sono fra noi riciclatori? Evasori abituali? Terroristi? O che altro?». La risposta arriva appunto dalla incredibile vicenda che ha scosso la banca nell’ultimo anno. Tutto a dire il vero ha avuto origine da una piccola fuga di notizie. I vertici della Csr avevano elaborato un progetto per concedere mutui casa ai dipendenti della Banca d’Italia a un tasso fisso dell’1% (sia pure nei limiti dell’80% del valore periziato dell’immobile).

La decisione – non ancora operativa – è trapelata all’esterno ed è subito sembrata un privilegio ingiustificato, senza alcun rapporto con i valori di mercato. Il governatore della Banca d’Italia ha subito scritto una lettera ai vertici della Csr chiedendo se erano impazziti e vietando quel mutuo regalato. Come ha spiegato il socio Gabriele Sene all’assemblea successiva della Csr «il principale ostacolo è dovuto a problemi di immagine». Proprio per quella vicenda è nato un braccio di ferro fra il governatore della banca centrale e i vertici della Cassa.

Il presidente della Csr, Giovanni Punzo, si è schierato con Visco impugnando la decisione di quel mutuo regalato. I sindacati hanno risposto a muso duro silurando il presidente, a cui hanno tolto le deleghe operative importanti girate al direttore della Cassa, Giulio Teodori. Punzo e tre consiglieri non presenti il giorno del blitz hanno fatto causa alla banca della Banca d’Italia, ritenendo illegittima la decisione.

Il vicedirettore della Csr, Francesco De Stefano, ha difeso il mutuo all’1%, e mandato a quel paese il suo presidente schierandosi con il direttore generale. Il vicepresidente della Csr, Maurizio Silvi, ha letto in assemblea una lettera riservata della vigilanza della Banca d’Italia che contestava le remunerazioni dei vertici della cassa (formalmente basse, ma poi ingigantite dai gettoni di presenza giornalieri), compreso il presidente del cda.

Un caos totale, in cui tutti si davano addosso e non si capiva nemmeno chi era d’accordo con chi. A questo punto è sceso pesantemente in campo Visco. Prima ha inviato i suoi ispettori che hanno rivoltato per quasi due mesi i conti della Cassa. Poi ha scritto le due lettere sopra citate in cui chiedeva di cambiare lo statuto e di mettersi in riga. È la nota integrativa al bilancio 2012 della Cassa a fornire le uniche informazioni ufficiali in maniera stringata.

«Nel corso del 2012», si rivela, «la Cassa è stata sottoposta ad accertamenti ispettivi di vigilanza avviati dalla Banca d’Italia il 13 febbraio e conclusisi il 30 aprile. A seguito delle osservazioni contenute nel rapporto ispettivo e delle lettere del Governatore del 20 luglio 2012 e del 20 dicembre 2012, il consiglio di amministrazione ha avviato approfondite riflessioni volte a individuare soluzioni idonee a superare le rilevanti anomalie accertate nei processi di governo, gestione e controllo».

E poi si informava che «in corso di ispezione la Cassa è stata citata in giudizio dal Presidente e da tre consiglieri (Carnovale, Fettucciari e Valentino) nell’ambito di un procedimento civile». Pochi mesi dopo «i tre consiglieri citati hanno presentato (20 ottobre 2012) le dimissioni irrevocabili dalla carica, motivate con riferimento al protrarsi delle tensioni all’interno degli organi sociali». Hanno provato a rimpiazzarli. Ma tre candidati scelti: Francesco Potente, Daniela Morsella e Lucio Rizzo si sono rifiutati di fare il consigliere di amministrazione di un istituto in quelle condizioni.

Ha accettato solo l’8 febbraio scorso Santa Corsi, già dirigente della vigilanza e consulente della procura di Milano. E il consiglio non è stato ricostituito integralmente. L’assemblea di bilancio 2013 ha approvato i conti con un attivo di 3,3 miliardi di euro, investimenti di 1,5 miliardi di euro in titoli di Stato emessi da governi e banche centrali della Ue (quasi tutti italiani), 600 milioni di euro di rifinanziamento presso l’eurosistema a 36 mesi e un utile di esercizio di 33,7 milioni di euro, assai inferiore alla redditività complessiva di 118,5 milioni di euro.

Dato quest’ultimo insieme ai pasticci interni che ha scaldato l’assemblea dei soci. Ha preso la parola il segretario generale della Falbi (sindacato che ha il controllo della Csr), Luigi Leone, con un discorso che mai ti saresti aspettato in Banca d’Italia: «Oltre il 50% degli utili è destinato al pagamento delle tasse. Se è così sarebbe meglio fare meno utili e destinare quei mezzi alla beneficienza». Insomma, piuttosto che dare soldi al fisco italiano, è meglio regalarli. Viva la Banca d’Italia!

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Libero – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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