Società

La lettera di un italiano finito in cassa integrazione

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ROMA – “La mia storia è uguale a quella di tanti altri italiani, 33 anni, in cassa integrazione a zero ore ormai da un anno e mezzo. E come va? ti chiedono gli amici; ce la fai ad arrivare a fine mese? ti chiedono i tuoi genitori. E tu dici di sì, che tutto si risolverà presto. Dicevi lo stesso quando i mesi di cassa dovevano essere solo sei, d’altronde ti avevano garantito che saresti tornato a lavorare. Ora sai che non è vero.

Dopo più di dieci anni in fabbrica sentirsi con le mani legate, un uomo nel pieno delle forze costretto come un leone in gabbia, quando invece vorresti spaccare in due il mondo dandoti da fare, costruendo il tuo futuro. Vorresti crescere, maturare professionalmente e quindi gettare le basi per qualcosa di concreto.

Ma sei senza lavoro, inizi a fare centinaia di colloqui nei quali per un motivo o per un altro il tuo profilo è sempre sbagliato. Ti scontri con tutte quelle situazioni “all’italiana”: raccomandazioni, clientelismo politico o familiare, un sindacato complice del malaffare, la cassa integrazione che arriva con mesi di ritardo, la dignità calpestata. E poi ancora contratti atipici, false partite iva e tutta la solita serie di bugie e false speranze.

Vorresti dire basta, esasperato. Esausto vorresti mollare il colpo e arrivederci a tutti. Io uno di questi me ne vado, ho 33 anni cazzo, tutta la vita davanti, ti ripeti continuamente per incoraggiarti. Ma la verità è che non lo sai cosa farai, è una tempesta di confusione quella che hai dentro: insicurezza, rabbia, paura, forza, debolezza, la tachicardia e poi l’ansia. Emozioni che mai avevi provato nella vita.

Adesso la tua vita è questo. E la notte, prima di andare a dormire, ringrazi di non avere dei figli a cui dover dire no.”

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Isola dei Cassintegrati – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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