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La capitale avvelenata d’amianto. Ecco la mappa delle zone critiche

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ROMA (WSI) – “Vogliamo mappare l’intera Roma”. Risponde così Maura Crudeli, presidente di Aiea Lazio, quando le si chiede quale sia il prossimo obiettivo nella lotta all’amianto.

La sfida è già cominciata. Nel luglio scorso, su iniziativa della stessa Aiea (Associazione Italiana Esposti Amianto), del I Municipio, di Automobile Club e di Aci Consult, un drone è volato nei cieli della Capitale per individuare tetti, comignoli e cisterne a rischio. “La situazione è critica. Basti pensare che in un’ora, in pieno centro città, abbiamo individuato trenta obiettivi da bonificare”, racconta Crudeli. “Ed era solo un volo dimostrativo. Il prossimo, anche in collaborazione con il Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche), servirà a monitorare un intero comune della provincia, affiancando alla rilevazione fotografica quella termica”.

Per salvare la Capitale da un materiale che uccide, le nuove tecnologie diventano, così, fondamentali. A patto, ovviamente, che ci siano fondi sufficienti. “I classici questionari non funzionano abbastanza”, spiega Maura Crudeli. “Tanti cittadini nemmeno rispondono, per evitare di dover ammettere che l’amianto ce l’hanno in casa”. Il drone, invece, si avvicina e fotografa. Implacabile.

L’AEROPORTO DI FIUMICINO – I casi sono tanti, troppi. A Fiumicino, in un solo litro d’aria, c’erano 517 fibre di amianto. Una situazione drammatica, descritta a chiare lettere da una sentenza della Corte d’Appello di Roma del 2008, secondo la quale gli addetti alla manutenzione degli aerei furono esposti per decenni al materiale killer. “Era un livello di contaminazione altissima. E d’altra parte l’amianto veniva usato regolarmente per costruire aerei e treni”, spiega l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto.

Ora si sa tutto. Che l’amianto, sfaldandosi e liberando polvere nell’aria, semplicemente uccide. E’ il terribile gioco dell’usura del tempo che, oltre a provocare l’asbestosi, causa mesoteliomi che non danno scampo e facilita l’insorgenza del carcinoma polmonare. Storia ben nota, in realtà, dalla fine degli anni Sessanta. “Ma la messa al bando è arrivata solo nel 1992. E, purtroppo, non ha imposto un’immediata bonifica, ma solo lo stop a qualsiasi nuova estrazione, lavorazione e commercializzazione”, precisa Bonanni.

Così, l’amianto è rimasto a lungo negli aeroporti, nelle stazioni, negli edifici pubblici. E ha continuato a nascondersi nelle nostre case, tra tubature, canne fumarie, serbatoi, elettrodomestici e perfino capi d’abbigliamento. Nonostante la sua polvere invisibile e quelle caratteristiche tettoie ondulate, dopo aver segnato i paesaggi delle nostre città, abbiano stravolto le vite di tanti.

DALLE CASE ALLE SCUOLE, BONIFICHE DECENNALI – Il problema vero resta la bonifica. Impossibile, infatti, per le autorità, velocizzare lo smaltimento dell’amianto nelle abitazioni private. Soprattutto di una metropoli. Per capirlo, basta fare un giro in Via Tiburtina, al Quartiere Prenestino, all’Eur, a Cinecittà, dove di tettoie di Eternit se ne vedono eccome. Coperture ondulate che, dagli anni Trenta, hanno riempito le case degli italiani e che ora devono essere rimosse rivolgendosi alle ditte autorizzate. Peccato che il costo dell’operazione sia davvero alto. Così, l’inerzia prende spesso il sopravvento e l’amianto resta dov’è. Oppure le lastre vengono abbandonate sulla strada e nelle aree verdi della Capitale. Come alla riserva naturale della Marcigliana e al Parco di Centocelle, abituati a trasformarsi in discariche di rifiuti e materiali tossici.

Anche negli edifici pubblici il problema è enorme. Tra i più minacciati ci sono bambini e ragazzi. Dall’istituto Santi Savarino di Tor de Cenci al Salvo D’Acquisto di Tor Sapienza, dalla scuola Giovanni Paolo I a Settebagni alla Anna Magnani vicino a Conca d’Oro, dall’Istituto Giancarlo Bitossi nel quartiere Trionfale fino alla materna Paolo Biocca di Testaccio, è stata periodicamente emergenza amianto. Per vedere rimossi i componenti pericolosi i genitori hanno dovuto combattere. E armarsi di tanta pazienza.

IL CASO DEL VELODROMO DELL’EUR – Ma non ci sono solo le scuole. Nello sgretolarsi dei materiali, nel disperdersi di una polvere che uccide, ci sono decenni di storia del nostro Paese. Come nelle briciole delle Olimpiadi del 1960, rimaste a terra dopo che, nel 2008, la giunta Alemanno decise di far implodere il Velodromo dell’Eur. A far discutere fu il capitolo “verifiche” prima di procedere alla demolizione.

L’intenzione era di lasciare spazio a un (mai realizzato visto che a oggi i lavori non sono neppure partiti) parco acquatico, il risultato fu il sollevarsi di un’immensa nube bianca. Era carica di amianto, ma gli abitanti della zona non lo sapevano. E non ne furono mai informati. Lo scoprirono dopo, quando appresero anche che l’intervento sarebbe stato realizzato senza un adeguato piano di sicurezza e di monitoraggio ambientale. Motivo per cui, nei giorni immediatamente successivi, l’area venne posta sotto sequestro e ci volle un mese perché la Asl potesse fare un sopralluogo. Ora sarà un processo a far luce sulla vicenda, per la quale il dirigente responsabile per conto di Eur S.p.a., Filippo Russo, è imputato con l’accusa di disastro colposo. I cittadini, che allora si costituirono in un comitato, aspettano la verità. Mentre del Velodromo resta solo un avvallamento nel terreno, recintato e chiuso da un lucchetto.

IL TEMPO INFINITO – Nei processi, come negli interventi di bonifica, il tempo è decisivo ma non passa mai. Quando l’edificio è pubblico, poi, spesso occorre aspettare anni. E’ accaduto alla Caserma “Cefalonia Corfù” della Guardia di Finanza, nel quartiere Bravetta, a Roma Ovest, dove i finanzieri sono rimasti a lavorare in mezzo a 4700 metri quadri di amianto. Proprio loro che mettono i sigilli ai depositi illegali di rifiuti tossici.

Anche la Rai ha i suoi problemi. Oltre a Viale Mazzini, a rischio era la sede Dear del Centro Nomentano. Dopo una denuncia anonima, lo ha confermato un’ispezione: l’amianto si trova nei sottotetti degli studi televisivi. Alla dirigenza è stato, allora, ordinato di bonificare tutte le aree contaminate nel termine di 6 mesi. Ma per un intervento complessivo servirebbero decine di milioni di euro. Che non ci sono.

Poi ci sono le segnalazioni che riguardano il tribunale di Piazzale Clodio. E ora l’ultimo caso, da verificare, al Circolo degli Artisti, sulla Casilina Vecchia, dopo che un ex dipendente del primo live-club romano ha denunciato l’interramento di strutture in amianto proprio sotto l’area adibita a cinema all’aperto. Poco lontano, al Quartiere Pigneto, la biblioteca di Via Attilio Mori dovette chiudere i battenti dopo vent’anni di attività all’insegna del multiculturalismo. Una lunga attesa, poi la bonifica, quindi l’assegnazione dei locali alla scuola Enrico Toti. Ma mancava un progetto per il futuro.
L’amianto colpisce e affonda proprio la Roma popolare, quella che ha più bisogno, in fondo, di spazi comuni da vivere.

Lo sanno bene al piccolo Parco Feronia di Pietralata, dove i bambini si lanciano dallo scivolo proprio accanto all’asbesto, alla lana di vetro, alle vernici. “L’abbiamo detto tante volte, ma non è mai cambiato nulla”, spiegano gli anziani che la domenica pomeriggio si trovano qui per giocare a carte. Anche Legambiente segnalò più volte il caso: tutto inutile. “C’è proprio un cumulo di Eternit, là dietro. Ma qui a Pietralata l’amianto si trova quasi ovunque, nei tetti come nelle tubature”, rivela con amarezza un signore. Che spiega anche quanto sarà inutile la bonifica in corso nel suo palazzo se gli edifici intorno resteranno come sono.

L’AMIANTO INVISIBILE – Quegli edifici si vedono, si possono fotografare. Con il loro ostinato Eternit e lo scherzo terribile delle onde scrostate. Ma c’è un amianto che non appare ed è quello insidioso delle tubature, delle cisterne, degli oggetti obsoleti che abbiamo dimenticato in qualche angolo di casa. “Mio padre lavorava materassini di asbesto che finivano nei muri come isolanti termici”, torna a raccontare Maura Crudeli. “E’ morto di mesotelioma, lui come tanti”. Ogni anno, in Italia, si contano 4 mila nuovi casi di patologie asbesto-correlate. E 5 mila morti, con un picco che dovrebbe essere raggiunto nel 2020. Secondo gli abitanti di Roma Nord, l’amianto si insinuerebbe addirittura nelle condotte dell’acqua che la rete idrica Arsial fornisce per l’Agenzia Regione Lazio. Un’ipotesi formulata dopo il recente scandalo dell’arsenico e che dovrà essere verificata dalla magistratura.

IL PIANO MANCANTE – Indagini, sopralluoghi, interventi: serve tempo, ma di tempo non ce n’è. “Il Piano Nazionale Amianto del Governo Monti non è operativo. E’ stato bloccato dalla Conferenza Stato-Regioni perché mancava la copertura finanziaria per attuarlo. Così, occorre con urgenza un nuovo progetto di bonifica”, conclude l’avvocato Bonanni, da sempre impegnato anche nell’assistenza legale alle vittime. Ma dovrà essere un progetto serio, che ripulisca la Capitale nei suoi mille siti avvelenati. Prima che l’Eternit, che è tutt’altro che eterno, voli in aria e si attacchi ai polmoni.

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La Procura di Ivrea ha aperto un fascicolo bis per le morti da amianto alla Olivetti. Nell’inchiesta, non ancora conclusa, stanno confluendo altri casi – almeno sei – di patologie di sospetta origine professionale. Si aggiungono ai 14 casi del fascicolo principale, per i quali nei giorni scorsi la Procura di Ivrea ha notificato l’avviso di chiusura indagine a 39 persone – accusate a vario titolo di omicidio e lesioni colpose – che hanno ricoperto incarichi di vertice nella società.

In Abruzzo si è riunito l’Osservatorio nazionale amianto (Ona). “In Italia il registro dei mesoteliomi dice che si verificano circa 1.400 nuovi casi a livello nazionale. Le nostre stime, però – afferma presidente nazionale dell’Ona, Ezio Bonanni – ci fanno parlare di circa duemila per il 2013. Stimiamo in circa cinquemila i morti all’anno in Italia per tumori connessi all’amianto”. Il presidente dell’Ona annuncia nuovi progetti dell’ Osservatorio per riqualificare interi territori inquinanti dall’ amianto e da altre sostanze cancerogene “perché soltanto disinquinando e al tempo stesso tempo rilanciano una produzione sana e pulita di energia e di nuovi prodotti si può coniugare la tutela della salute, del lavoro e dell’ambiente”.