(Teleborsa) – Nel 2009 l’incidenza della povertà relativa è pari al 10,8%, mentre quella della povertà assoluta risulta del 4,7%. La povertà risulta stabile rispetto al 2008. Lo rileva l’ISTAT. Nel 2009, nel Mezzogiorno si confermano gli elevati livelli di incidenza della povertà raggiunti nel 2008 (22,7% per la relativa, 7,7% per l’assoluta) e si mostra in aumento il valore del’intensità della povertà assoluta (dal 17,3% al 18,8%), dovuto al fatto che il numero di famiglie assolutamente povere è rimasto pressoché identico, ma le loro condizioni medie sono peggiorate. L’incidenza di povertà assoluta aumenta, tra il 2008 e il 2009, per le famiglie con persona di riferimento operaia, (dal 5,9% al 6,9%), mentre l’incidenza di povertà relativa, per tali famiglie, aumenta solo nel Centro (dal 7,9% all’11,3%). L’incidenza diminuisce, invece, a livello nazionale, tra le famiglie con a capo un lavoratore in proprio (dall’11,2% all’8,7% per la povertà relativa, dal 4,5% al 3,0% per l’assoluta), più concentrate al Nord rispetto al 2008. Il motivo per il quale la povertà non è cresciuta nell’anno della crisi va ricercato nella lettura fornita dal Rapporto Annuale dell’Istat sul mercato del lavoro e la deprivazione nel 2009; in tale periodo, infatti, l’80% del calo dell’occupazione ha colpito i giovani, in particolare quelli che vivono nella famiglia di origine, mentre due ammortizzatori sociali fondamentali hanno mitigato gli effetti della crisi sulle famiglie: la famiglia, che ha protetto i giovani che avevano perso l’occupazione e la cassa integrazione guadagni, che ha protetto i genitori dalla perdita del lavoro (essendo i genitori maggioritari tra i cassaintegrati). In Italia, nel 2009, le famiglie in condizioni di povertà relativa sono 2 milioni 657 mila e rappresentano il 10,8% delle famiglie residenti; si tratta di 7 milioni 810 mila individui poveri, il 13,1% dell’intera popolazione. La stima dell’incidenza della povertà relativa (la percentuale di famiglie e persone povere sul totale delle famiglie e persone residenti) viene calcolata sulla base di una soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. La soglia di povertà relativa per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media mensile per persona, che nel 2009 è risultata di 983,01 euro (-1,7% rispetto al valore della soglia nel 2008). Le famiglie composte da due persone che hanno una spesa mensile pari o inferiore a tale valore vengono classificate come povere. Nel Nord la situazione non è significativamente mutata rispetto al 2008, mentre nel Centro l’incidenza di povertà relativa aumenta tra le famiglie con a capo un operaio (dal 7,9% all’11,3%), costituite per i due terzi da coppie con figli. Tra esse diminuisce la percentuale di famiglie con più di un occupato, a conferma del fatto che, nel 2009, i giovani che hanno perso il lavoro appartenevano in maniera superiore alla media a famiglie con persona di riferimento operaia. Il fenomeno della povertà relativa continua a essere maggiormente diffuso nel Mezzogiorno, tra le famiglie più ampie, in particolare con tre o più figli, soprattutto se minorenni; è fortemente associato a bassi livelli di istruzione, a bassi profili professionali e all’esclusione dal mercato del lavoro: l’incidenza di povertà tra le famiglie con due o più componenti in cerca di occupazione (37,8%) è di quattro volte superiore a quella delle famiglie dove nessun componente è alla ricerca di lavoro (9%). La difficoltà a trovare un’occupazione o un’occupazione qualificata determina livelli di povertà decisamente elevati: è povero il 26,7% (ben il 38,7% nel Mezzogiorno) delle famiglie con a capo una persona in cerca di lavoro. Le situazioni più difficili appaiono, inoltre, quelle delle famiglie in cui non vi sono né occupati né ritirati dal lavoro (il 42% è povero): si tratta di anziani soli senza una storia lavorativa pregressa e di persone escluse dal mercato del lavoro che vivono in coppia con figli o che sono genitori soli.
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