Società

Il premier mette all’angolo Tremonti. Ma gioca col fuoco. Con i mercati

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

ROMA – La più «democristiana» delle rivoluzioni per mettere all´angolo Tremonti. Alfano alla guida del partito ma tenendo in piedi il triumvirato Verdini, La Russa e Bondi, ormai commissariato. Sarà l´ex Guardasigilli, nei disegni del presidente del Consiglio Berlusconi, a intervenire ogni qualvolta il ministro dell´Economia opporrà resistenza alle decisioni del premier. A cominciare da una riforma fiscale che il Cavaliere continua a invocare per correre ai ripari dopo la disfatta e sulla quale l´inquilino di via XX Settembre continua a nicchiare.

«Spetterà ad Angelino l´ultima parola sulle scelte politiche strategiche, anche di governo, alla quale tutti nel partito dovranno attenersi» è la ratio della designazione che Berlusconi spiega ai ministri più fidati prima di aprire l´ufficio di presidenza del partito. L´ex dirigente dei giovani dc agrigentini Alfano, da questo momento diventa il cuscinetto, la stanza di compensazione tra il presidente del Consiglio e il governo. «Abbiamo perso per colpa della crisi e della nostra incapacità di dare risposte agli elettori. Ecco perché uno dei primi nodi da affrontare, alla svelta, è il rilancio economico e la riforma del fisco». Il processo a Tremonti il premier lo apre così, con poche, gelide battute, un implicito atto di accusa.

L´ufficio di presidenza del partito è iniziato da poco. C´è tutto lo stato maggiore alla corte di Palazzo Grazioli. Arriva in ritardo, ma arriva, anche il superministro dell´Economia che sul banco degli imputati proprio non intende sedere. Difende la linea del rigore. «Serve attività ma anche serietà. Non siamo di fronte a un ciclo economico negativo normale, ma ad una rivoluzione che si protrarrà per anni e noi dobbiamo difendere il debito pubblico». Come dire, i cordoni della borsa non si apriranno.

È a quel punto che il governatore Formigoni sbotta: «Capisco il contesto di crisi e i vincoli imposti dai commissari Ue, ma l´Europa non può essere burocrazia, deve essere politica e se ci sono regole troppo stringenti, dobbiamo farci sentire». Brunetta concorda. La tensione è all´apice. Anche perché Tremonti a quel punto incalza. Sulla sua filosofia non transige: «Forse non a tutti è chiaro che la disciplina europea sui conti pubblici si è fatta più stringente. Siamo noi a dover rendere conto agli altri 26 paesi, non è il contrario». Nessuno dei ministri e dei dirigenti interviene in difesa del ministro. Al Cavaliere non resta che convocare per la prossima settimana un nuovo ufficio di presidenza, questa volta per mettere nero su bianco le basi per il rilancio dell´azione di governo, dopo aver sciolto ieri il nodo partito.

Ma va da se che con la designazione di Alfano, il leader ha voluto dare un preciso segnale, e non solo al Pdl, sulla successione. E anche lì, la scelta maturata e portata a compimento da Berlusconi nell´arco delle 48 ore seguite alla Caporetto di lunedì, ha l´effetto di una doccia gelata sulle aspirazioni di Tremonti. Tanto più che il presidente del Consiglio l´ha accompagnata ad un´altra parziale apertura, quella fino a pochi giorni fa insperata alle primarie. Se n´è fatto sponsor, oltre a Formigoni, soprattutto il ministro degli Esteri Frattini. Proprio a lui e agli altri giovani ministri del gruppo Liberamente il Cavaliere in serata garantisce che di primarie si potrà pure parlare, ma che «andranno disciplinate con molta attenzione», per evitare infiltrazioni esterne al partito e condizionamenti di qualsiasi tipo. Ed è chiaro che per l´eventuale corsa proprio Alfano a questo punto diventa il delfino designato da Berlusconi.

Non che la nomina del Guardasigilli alla segreteria politica sia stata priva di ostacoli. Tutt´altro. Il patto generazionale, raccontano, si stringe sul volo che lunedì sera, poche ore dopo i responsi delle urne, porta i ministri Alfano, Frattini, Romani da Bucarest a Roma. Due ore per suggellare l´accordo benedetto dal leader. Riottosi gli ex An, La Russa ieri mattina frenava, a pranzo ha incontrato Berlusconi a Palazzo Grazioli. Ma la scelta del premier per la successione sembra quasi fatta. Anche se i la componente degli ex An non se ne fa una ragione.

Copyright © La Repubblica. All rights reserved

*****************

SONO trascorse appena 24 ore dalla chiusura dei seggi e il crollo elettorale colpisce il cuore politico del governo, allargando la crepa tra Berlusconi e Tremonti. Già da Bucarest, commentando con Bossi i risultati, il premier aveva individuato nella mancata riforma del fisco la vera causa della «batosta». E nel ministro dell’Economia il responsabile primo. Ma ieri trai due la frattura è arrivata quasi a un punto di non ritorno. Con Tremonti che, pronto alle dimissioni, ha preteso dal Cavaliere un comunicato per smentire l’attacco pubblico pronunciato poche ore prima. E tuttavia la sostanza non cambia.

Berlusconi si è infatti convinto che il ministro dell’Economia abbia «complottato» alle sue spalle per scalzarlo da palazzo Chigi. Non un piano teorico, ma un un’offensiva molto concreta, che avrebbe raggiunto il suo culmine proprio ieri, con il vertice a palazzo Chigi tra il ministro dell’Economia e i vertici della Lega. Un summit con Berlusconi assente, involo dalla Romania, durante il quale, stando a quanto hanno riferito al Cavaliere, Tremonti avrebbe esplicitamente fatto riferimento a un cambio in corso alla guida del governo. «Dovete essere voi a chiedergli un passo indietro, è questo il momento giusto». Una staffetta, quella tra Berlusconi e Tremonti, giustificata dalla pesantezza della sconfitta e dalle severe misure finanziarie che attendono il paese a giugno.

È per questo che il premier è stato così tagliente quando, poche ore dopo, parlando con i giornalisti al Quirinale, ha voluto umiliare pubblicamente il ministro dicendo che a via XX Settembre spetta soltanto il compito di «proporre», mentre la decisione sulla riforma del fisco è riservata a palazzo Chigi. In privato Berlusconi è ancora più caustico, come se abbia deciso di spingere Tremonti con le spalle al muro, mettendolo nella condizione di farsi da parte. «È lui che ci ha fatto perdere le elezioni al Nord, poche storie. Ormai quando appare in televisione, con quella faccia, la gente pensa a Visco. Se dovesse andar via non mi straccerei le vesti».

Evocare il ministro delle Finanze dell’Ulivo, quello che lo stesso Tremonti sbeffeggiava come «Dracula all’Avis», nel linguaggio di Berlusconi è più che un insulto, è una condanna politica. E difatti, ai piani del Pdl, riferiscono che Berlusconi sia ormai pronto a fare a meno dell’uomo che finora ha custodito i conti pubblici. Avrebbe anzi giàgarantito a Bossi, nel colloquio avuto ieri all’ora di pranzo, che nel caso al posto di Tremonti andrà un uomo gradito al Carroccio. Se non direttamente un leghista. I ministri del Pdl raccontano del resto che anche trai padani la fiducia nel ministro dell’Economia abbia subito uno scossone.

Ieri ad esempio Calderoli e Maroni non hanno fatto mistero di non aver gradito la conferma di Attilio Becera come direttore dell’Agenzia delle entrate. «Ma come – è sbottato Calderoli – quel Befera, con le sue ganasce fiscali, ci ha fatto perdere al Nord e Tremonti cosa fa? Al primo Consiglio dei ministri lo conferma direttore? Cose da pazzi». Insomma, anche dentro la Lega, come nel Pdl, la confusione dopo il voto è massima e non si riesce più a distinguere bene tra amici e nemici. Così per il momento Bossi ha deciso di prendere tempo, aspettando la fine di giugno per decidere cosa fare.

Nella settimana dopo Pontida (che si terrà il 19 di giugno) è calendarizzata alla Camera la discussione sul cambiamento di maggioranza richiesta da Napolitano. E potrebbe essere quello, se la Lega non trovasse più le ragioni dell’alleanza, il terreno per una rottura con il centrodestra. Al momento comunque il Carroccio si è messo di nuovo alla finestra, «dietro il cespuglio» come disse Bossi qualche mese fa.

E tuttavia Tremonti, che oggi subirà un processo in contumacia all’ufficio di presidenza del Pdl (Berlusconi ha chiesto che si voti un documento per mettere fretta al ministro sulla riforma del fisco), è convinto di avere delle buone armi in arsenale per resistere agli attacchi. «Non parlo – ripete ai suoi – per un po’ non esisto». Gli basta quello che gli altri dicono di lui, gli attestati di stima che raccoglie a livello europeo. Persino un rivale come il governatore Mario Draghi ieri gli ha dato atto di aver garantito la tenuta dei conti pubblici, di aver raggiunto un’ ottima performance nella lotta all’evasione e di aver anticipato la manovra a giugno.

Tremonti è anche sicuro che Napolitano, con lo spettro della Grecia dietro l’angolo, non consentirà a Berlusconi di farlo fuori, esponendo il debito italiano a una possibile speculazione. E, al fondo, anche la sponda con la Lega reggerà. Il rapporto tra Bossi e Tremonti, oltre che sulle cene degli ossi, è cementato dal sistema di potere che ruota intorno alle fondazioni bancarie del Nord. E non basterà un Befera a scardinarlo.

Copyright © La Repubblica. All rights reserved

****************

Il Cavaliere e il gelo con «Giulio»

Il sospetto: sta prendendo tempo. La linea di Tremonti: la riforma la faremo, ma non sarà certo una passeggiata.

di Francesco Verderami – Corriere della Sera

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

Vivono ormai da separati in casa, e Berlusconi non si cura più nemmeno di celare l’umor nero verso Tremonti: «La via per la ripresa è quella che ha indicato Draghi» diceva ieri il premier furibondo. Peccato per lui che Draghi non sia il suo ministro dell’Economia e che Tremonti viva le citazioni del governatore di Bankitalia come una sorta di mozione di sfiducia. Non è quindi un caso se nella tarda serata il premier sia dovuto ricorrere a una nota ufficiale per evitare un clamoroso divorzio con il titolare di via XX Settembre. Ma è evidente che la situazione sia diventata insostenibile, che le posizioni siano ormai quasi inconciliabili, specie adesso che il Cavaliere ha bisogno della riforma del fisco, definita «prioritaria», per rilanciarsi e rilanciare il proprio governo.

Quanto sia logoro il rapporto tra i due l’hanno potuto constatare ieri gli invitati alla festa della Repubblica, nei giardini del Quirinale, dove Berlusconi e Tremonti si sono ostentatamente ignorati. E sarà pur vero che il superministro ha promesso la riforma, ma la preoccupazione del premier è che «Giulio» vesta di qui in avanti i panni dell’imperatore Fabio Massimo, che si metta a fare il Temporeggiatore, che prenda cioè tempo così da allentare la pressione. D’altronde agli interlocutori che riservatamente gli chiedono conto dello stato dell’arte, Tremonti offre sì assicurazione sulla volontà di portare a termine il progetto, «la riforma la faremo», ma aggiunge che «non sarà certo una passeggiata», che «il problema è trovare le risorse per finanziarla», che ha in mente «varie opzioni», ma che «al momento» non c’è la soluzione. Lo scontro è nelle cose: perché Berlusconi sostiene che al ministro dell’Economia «non spetta decidere ma proporre». Giusto. Il problema è, appunto, che manca «al momento» la proposta. Se e quando arriverà, non è poi detto che l’iter sarà rapido, perché Tremonti— temono i fedelissimi del Cavaliere— potrà dilatare a proprio piacimento i tempi per scrivere la legge delega, e — dopo l’approvazione delle Camere — potrà dettare sempre lui il timing per redigere i decreti legislativi.

L’idea che le sue sorti personali e quelle del suo governo siano nelle mani del ministro dell’Economia, che tutto passi insomma per Tremonti, aveva indotto ieri il premier a reagire pubblicamente. Berlusconi confida di avere stavolta l’appoggio della Lega, dove Maroni ha dato voce al malcontento per la gestione della linea di politica economica che avrebbe inciso sul risultato elettorale. Quando il ministro dell’Interno ha spiegato che «non è Tremonti sotto attacco ma l’intera maggioranza», non ha fatto che rinnovare le critiche del suo partito, riflettendo gli umori della base, dei piccoli imprenditori che stavolta non hanno votato per il Carroccio in segno di protesta per le «vessazioni» subite da Equitalia e dall’Inps. Un malumore che si è avvertito ieri in Consiglio dei ministri tra i rappresentanti leghisti quando si è trattato di rinnovare i vertici dell’Agenzia delle entrate, additata come «la struttura che ci ha fatto perdere alle Amministrative».

Ma le esigenze di Berlusconi non collimano del tutto con quelle di Bossi, ed è in questo spazio che trova riparo Tremonti. Almeno per ora. Il superministro è nervosissimo, avverte l’assedio di Berlusconi e del mondo delle imprese, che usano la ricetta di Draghi— diminuzione del carico fiscale e tagli selettivi di bilancio— per indurlo a cedere. Perciò Tremonti reagisce ogni qualvolta sente citare il Governatore e ricorda che l’esecutivo è atteso a una manovra da 40 miliardi per tenersi in linea con i dettami dell’Europa sui conti pubblici. Una manovra che si preannuncia «impopolare», come lo stesso ministro dell’Economia ha spiegato a colleghi di governo del Pdl e della Lega. Ecco il motivo per cui Bossi si interroga su cosa fare, perché ripresentarsi dinnanzi al Paese con un simile provvedimento dopo la sconfitta elettorale non lo convince. Sta in queste contraddizioni il rischio per la tenuta del governo, le tensioni che attraversano la maggioranza: da una parte c’è il pressing di Berlusconi che vuole a tutti i costi la riforma tributaria, dall’altra c’è la volontà di Tremonti di onorare gli impegni sul bilancio dello Stato.

Così l’esecutivo rischia lo stallo, anzi il conflitto. Perché i fedelissimi del Cavaliere nell’esecutivo sostengono che si tratti di un falso problema e guardano con sospetto gli atteggiamenti di Tremonti. «I governi hanno ragione di esistere se governano» attacca Brunetta: «E senza le riforme un governo va in crisi. Ma in questa situazione, le ipotesi di esecutivi tecnici o di elezioni anticipate sono solo mosse avventuriste» . «La verità— prosegue il titolare della Pubblica amministrazione — è che per curare l’economia italiana non possono bastare gli antibiotici, cioè i tagli, che servono all’opera di risanamento per bloccare l’infezione del debito. Al Paese è necessario dare anche le vitamine, cioè le misure per lo sviluppo, necessarie per garantire la crescita. Lo dice anche Draghi» . E ci risiamo…

Copyright © La Repubblica. All rights reserved

******************