Economia

Federal Reserve: cosa aspettarsi dalla prossima riunione

Dopo la Banca centrale europea, è la volta della Federal Reserve. L’istituto centrale americano guidata da Jerome Powell si riunirà il 18 e il 19 marzo 2025 e deciderà l’andamento dei tassi di interesse.

Una riunione particolarmente seguita, visti i recenti forti movimenti del mercato ed i segnali di debolezza giunti da alcuni dati macro. In particolare, come sottolineano gli esperti di MPS Capital Services, andrà monitorato l’aggiornamento della c.d. nuvola dei dots, che nella riunione di dicembre segnalava 50pb di tagli per quest’anno, che si confrontano con i quasi 75pb che invece prezza il mercato OIS al momento. Powell, sarà molto probabilmente chiamato a chiarire come l’Istituto valuta l’impatto della politica commerciale su crescita e inflazione.

Cosa deciderà la FED secondo gli analisti

La Federal Reserve rimarrà in attesa il 19 marzo, ma le prospettive di crescita più deboli potrebbero portare a tagli dei tassi nella seconda metà del 2025. Così gli analisti di ING secondo cui all’inizio dell’anno c’era molto ottimismo.

“L’economia era in buona forma e si pensava che il Presidente Trump avrebbe messo il turbo alla crescita con tagli fiscali e deregolamentazione” sottolineano da ING secondo cui, “fino al 12 febbraio i mercati finanziari prevedevano un solo taglio dei tassi di interesse di 25 pb per l’anno a venire”.

Oggi, i dati economici deludenti e il Presidente Trump che non mostra alcun segno di esitazione nel suo impegno a favore di queste politiche, hanno portato i mercati azionari ad avere una visione più debole delle prospettive dell’economia. Anche se non è il nostro scenario di base, le voci di recessione sono in aumento.

Il presidente Powell probabilmente ridimensionerà questi timori nella conferenza stampa successiva alla riunione. In un discorso del 7 marzo, ha affermato che “nonostante gli elevati livelli di incertezza, l’economia statunitense continua a essere in una buona posizione”, definendo “solidi” i dati sulla crescita e sul mercato del lavoro.

“Ci aspettiamo quindi che la Fed mantenga in larga misura le previsioni di dicembre e che segnali che il suo scenario di base rimane quello di due tagli dei tassi di 25 pb quest’anno. Non vi è alcuna necessità impellente di ulteriori tagli dei tassi, dato che il tasso di disoccupazione è basso e l’inflazione è ancora in crescita ed è probabile che rimanga al di sopra dell’obiettivo per il resto dell’anno, data la spinta dei dazi. Tuttavia, le prospettive di crescita si stanno raffreddando e la pressione affinché la Fed offra maggiore sostegno all’economia probabilmente aumenterà.

Non solo Fed: le riunioni in programma

Ma oltre alla Fed, si riuniranno anche la Banca del Giapone e la Bank of England, con il mercato che non si attende variazioni ai tassi ma indicazioni sulle possibili future mosse. Previste anche le riunioni delle banche centrali di Brasile (mercoledì), Svizzera, Svezia e Sud Africa (giovedì), con solo la prima attesa modificare i tassi (in rialzo).

Ocse: cosa prevede per le banche centrali

Prudenza è quella che consiglia l’Ocse alle banche centrali che “dovrebbero rimanere vigili data l’elevata incertezza e il rischio che l’aumento dei costi del commercio possano far aumentare le pressioni sui salari e sui prezzi”. Così si legge nell’interim outlook pubblicato oggi in cui gli esperti sottolineano come ‘a condizione che le aspettative di inflazione rimangano ben ancorate e che le tensioni commerciali non si intensifichino ulteriormente, le riduzioni dei tassi di interesse di riferimento possono continuare nelle economie in cui si prevede che l’inflazione si moderi’.

Se nella zona euro, gli esperti dell’Ocse stimano “che i tassi di interesse di riferimento scenderanno al 2% entro la seconda metà del 2025, con un graduale allentamento anche nei prossimi due anni in Australia e nel Regno Unito”, rimarranno invece invariati negli Stati Uniti fino a buona parte del 2026 nella proiezione di base.

Secondo l’Ocse infine si prevede che i tassi di riferimento aumenteranno in Giappone, mentre in Canada saranno ulteriormente abbassati, ma in misura maggiore nello scenario tariffario più leggero, con pressioni più forti derivanti da costi di importazione più elevati compensati da un’economia più debole.