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Facebook riuscirà a capire i nostri pensieri ed emozioni

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NEW YORK (WSI) – Siamo sempre da quelle parti: capire meglio, e bene, ciò che postiamo sui social network. Farlo in automatico, per entrare nei sottintesi, perfino nelle ironie, in ciò che sfugge alle keyword, agli hashtag o agli interessi preimpostati. Che dopo un po’ invecchiano. Penetrando il linguaggio comune e scovando collegamenti di significato. Per Facebook sembra una fissazione. E invece è un aspetto di business fondamentale, per una piattaforma in cui monetizzare significa sapere il più possibile sul proprio miliardo e passa di utenti attivi su base mensile. Non solo sapere, dunque, ma anche capire ciò che si dicono, come interagiscono, a cosa alludono quando sembra che postino di altro.

Ecco perché Menlo Park sta mettendo in piedi una nuova – in parte inquietante – task force tecnologica interna dedicata al deep learning. Che vuol dire? Significa architettare sistemi, basati sull’imitazione del funzionamento basilare delle cellule neuralui, per scoprire i segreti dei contenuti online. Scavando in quelle profondità dove le tecnologie sfruttare fino ad ora, con metodi fermi a livelli superficiali dell’analisi, non riescono ad arrivare.

Una squadra battezzata non a caso AI Team: l’équipe dell’intelligenza artificiale. Fra gli otto designati spuntano Marc’Aurelio Ranzato, che ha lasciato Google per imbarcarsi nella nuova impresa, Yaniv Taigman, cofondatore della startup Face. com e l’esperto di visione artificiale Lubomir Bourdev. In rappresentanza delle alte gerarchie di Facebook, invece, l’ingegnere Keith Adams, veterano del gruppo. Dovranno definire un meccanismo in grado di andare oltre i riconoscimenti facciali o l’analisi dello spam e di lanciarsi alla ricerca di emozioni o eventi descritti nei post degli utenti. Anche se quelle sensazioni, quei luoghi o quei fatti non sono esplicitamente citati. Algoritmi abili anche a riconoscere oggetti all’interno delle foto.

Lanciandosi appunto verso un approccio semantico, come molti motori di ricerca delle ultime generazioni – e lo stesso Graph Search di Facebook – cercano di fare. Si procede per livelli, secondo l’idea che piccoli concetti definiscano ambiti più ampi che a loro volta ne definiscono altri. E così via. Con sufficienti informazioni una rete neurale artificiale abbastanza dettagliata può in questo modo crescere e migliorare in fretta. Tornando alla realtà commerciale, per darci risultati più pertinenti e vendere inserzioni più redditizie perché ultra-mirate.

Il riserbo sul progetto è massimo. Soprattutto sulle ricadute concrete. Ma per Mike Schroepfer, chief technology officer, uno dei campi fondamentali d’applicazione è ovviamente la bacheca della piattaforma dove scorrono status, aggiornamenti, immagini e altri contenuti condivisi dall’esercito mondiale degli utenti. In media sarebbero 1.500 per utente, ne vediamo di volta in volta fra i 30 e i 40. Come sono selezionati? Più o meno secondo tre parametri: se in precedenza hai mostrato interesse a post simili, quanto hanno reso e come hai reagito in passato (hai cliccato Like?). È proprio da lì, dall’importantissimo news feed, che passa ogni nuova strategia di Mark Zuckerberg e soci. Per Schroepfer c’è bisogno di fare in modo che vi transitino i contenuti migliori (in quale ottica, è tutto da vedere) visto che “gli utenti producono più dati e usano il social network in modi molto diversi”. Impossibile dunque procedere con la tradizionale machine learning, dove l’intervento umano nella definizione dei fattori importanti è ancora fondamentale e l’elaborazione dei dati molto lenta.

Nuovi strumenti, dunque, per il coinvolgimento dell’utenza. Per la serie: se ti senti capito, parteciperai di più o meglio. Ma soprattutto nuovi meccanismi per migliorare i margini e l’efficacia della pubblicità. Questo lo snodo essenziale. Nulla potrà più sfuggire agli analisti virtuali della piattaforma, che grazie ai frutti del nuovo gruppo di lavoro riusciranno a prevedere con ancora maggiore raffinatezza i comportamenti futuri delle persone: “La mole d’informazione sta crescendo, le persone hanno sempre più amici e col boom del mobile sono sempre online” ha detto il Cto di Facebook alla Mit Technology Review. “Non siamo più al livello in cui guardo la bacheca una volta al giorno: tiro fuori costantemente il telefono mentre aspetto a un appuntamento o sono al bar. Abbiamo appena cinque minuti per deliziare” gli utenti. Con che cosa? Mostrando loro contenuti più appropriati a ciò di cui parlano ogni giorno.

Un lavoro che già altri colossi hanno messo in cantiere. Incluso Google, spanne avanti in questo campo, che anzitutto ha assoldato lo scrittore e futurista Ray Kurzweil. Attratto proprio dall’avveniristico ambito del deep learning. Dall’idea, cioè, di replicare l’attività dei neuroni nella neocorteccia – scrigno del pensiero umano – attraverso programmi per computer. Un vecchio sogno, è vero, ma che solo oggi, grazie alla potenza dei calcolatori e ai progressi nelle scienze matematiche, può approdare a risultati sempre più sorprendenti. L’hanno provato un clamoroso esperimento del famigerato X Lab di Mountain View su 10 milioni di immagini prese dai video di YouTube (il programma doveva separare volti di umani da musi di gatti) e i miglioramenti nel riconoscimento vocale su Android. Mentre lo scorso ottobre Rick Rashid, Cto di Microsoft, ha sfoggiato in un evento a Tianjin, in Cina, un software automatico che ha trascritto le sue parole in inglese con un margine d’errore di appena il 7 per cento, le ha tradotte in cinese e ha poi letto il testo imitando il dialetto mandarino. E sul tema starebbe lavorando anche Baidu, gigante cinese del web, da poco sbarcato nella Silicon Valley.

“La ricerca sulla comprensione delle immagini, dei testi e quindi del linguaggio va avanti da decenni – ha detto Elliot Turner, fondatore e Ceo di AlchemyAPI – ma il ritorno tipico che si aveva da una nuova tecnica era minimo. In compiti come quelli della visione o del discorso, invece, assistiamo a un balzo del 30 per cento sfruttando il deep learning”. Sì, ma su cosa lavorerà esattamente il dream team di Facebook? Anzitutto su applicazioni che possano aiutare e sostenere i prodotti del gruppo. Comprensione, migliore profilazione degli utenti e quindi pubblicità. Poi su ricerche più generali, come ha confermato Srinivas Narayanan, manager e ingegnere di Facebook che sta lavorando alla squadra delle emozioni artificiali.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Repubblica – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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