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Mercoledì 7 maggio il Federal Open Market Committee (FOMC) della Federal Reserve si riunirà per la terza volta nel 2025 per decidere la politica monetaria degli Stati Uniti. In un clima di forte incertezza economica e crescente pressione politica, gli analisti prevedono che il board manterrà invariato il tasso di interesse nell’attuale intervallo tra il 4,25% e il 4,5%.
Tassi fermi, occhi puntati su giugno
Dopo tre tagli consecutivi nei mesi finali del 2024, la Fed ha lasciato i tassi invariati sia a gennaio che a marzo 2025. Secondo i mercati, la probabilità che la riunione di maggio porti a un cambiamento è molto bassa: il CME FedWatch Tool indica una possibilità del 79% che i tassi restino stabili, mentre le principali piattaforme di prediction market stimano una probabilità fino al 90%. Gli analisti ritengono invece più probabile un taglio di 25 punti base nella successiva riunione di giugno, qualora i dati macroeconomici dovessero confermare un rallentamento dell’economia e un’inflazione sotto controllo.
Inflazione, crescita e tariffe: la prudenza della Fed
La cautela della Fed è motivata da diversi fattori. Da un lato, l’inflazione per il 2025 è prevista al 2,8%, ancora sopra il target del 2%, e le nuove tariffe imposte dall’amministrazione Trump contro la Cina potrebbero avere effetti inflazionistici temporanei. Dall’altro, le stime di crescita del PIL sono state riviste al ribasso all’1,7% (dal 2,1% precedente), segnalando un rischio di rallentamento economico. Jerome Powell, presidente della Fed, ha sottolineato che l’impatto delle tariffe potrebbe essere solo “one-time” e che occorrono ulteriori dati per valutare la direzione della politica monetaria. La strategia rimane quella del “wait and see”, bilanciando il rischio di recessione con la necessità di contenere i prezzi.
Secondo David Pascucci – Analista dei Mercati per XTB, osservando le componenti macro decisive per i tassi, ossia il tasso di disoccupazione e l’inflazione, non ci sarebbero le condizioni per tagliare, in quanto il tasso di disoccupazione rimane al 4,2% mentre l’inflazione al 2,4% rimane ancora abbondantemente sopra il target e ai livelli di settembre 2024. La condizione ideale per vedere dei tagli dei tassi richiederebbe un ribasso ulteriore dell’inflazione, dato che uscirà il 13 maggio, oltre che un aumento della disoccupazione.
Trump incalza Powell: “Serve un taglio subito”
Sul fronte politico, il presidente Donald Trump ha intensificato nelle ultime settimane la sua pressione sulla Fed e su Powell. Tramite i social e dichiarazioni pubbliche, Trump ha definito Powell un “grande perdente” e “Mr. Troppo Tardi”, accusandolo di non aver ancora tagliato i tassi nonostante, a suo dire, “l’inflazione sia praticamente nulla” e i prezzi di energia e generi alimentari siano in calo. Trump sostiene che, senza un taglio immediato, l’economia rischia un rallentamento e ha evocato la possibilità di licenziare Powell prima della scadenza naturale del suo mandato nel 2026, anche se lo stesso Powell ha ribadito che la legge non lo consente.
“La benzina sotto 1,98 dollari al gallone, il prezzo piu’ basso in anni, i prezzi dei generi alimentari giù, l’energia giù, i tassi dei mutui giù, l’occupazione è forte e molte altre buone notizie, con miliardi di dollari che arrivano dai dazi. Siamo solo in una fase di transizione. Non c’e’ inflazione, la Fed dovrebbe abbassare i tassi!” ha aggiunto nelle scorse ore su Truth.
Le esternazioni del presidente hanno già avuto ripercussioni sui mercati, alimentando timori sull’indipendenza della banca centrale. Gli esperti avvertono che un eventuale tentativo di rimozione di Powell potrebbe scatenare una forte reazione negativa su Wall Street, con aumento dei rendimenti obbligazionari, indebolimento del dollaro e calo delle azioni.
L’indipendenza della Fed sotto i riflettori
Il confronto tra Casa Bianca e Federal Reserve riporta al centro il tema dell’indipendenza della banca centrale. Nessun presidente USA negli ultimi cinquant’anni ha mai tentato di forzare la mano alla Fed per ottenere tagli dei tassi in modo diretto, un precedente che risale ai tempi di Richard Nixon e che ebbe conseguenze negative sull’inflazione.
Mentre Trump continua a esercitare pressioni pubbliche e private, la Fed appare determinata a seguire il proprio mandato, attendendo maggiori certezze dai dati economici prima di modificare la rotta.