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Da Verdini, coordinatore del PDL, a don Bancomat: un fiume di denaro in Lussemburgo

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(WSI) – E’ dagli accertamenti bancari e dalle rogatorie verso Svizzera, Lussemburgo e San Marino che i magistrati Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi si attendono colpi di scena. L’inchiesta sui Grandi Appalti è a un giro di boa. Dopo che è stata inquadrata una serie di compravendite immobiliari sospette, dalle verifiche bancarie potrebbero emergere trasferimenti altrettanto sospetti.

Verso il Lussemburgo (dove ci sono sicuramente soldi degli indagati in una filiale Unicredit), per esempio, è stata inoltrata una richiesta di collaborazione giudiziaria. Riguarda sedici persone, tutte indagate tra Perugia e da Firenze. Ci sono i soliti Angelo Balducci, Diego Anemone, Mauro Della Giovampaola e Mauro De Santis. C’è il commercialista Stefano Gazzani, il «mago» dei trasferimenti e degli assegni circolari. Ma c’è anche il nome dell’onorevole Denis Verdini, il deputato-banchiere, coordinatore Pdl, di cui si chiede di verificare se abbia conti correnti o depositi in quel Paese. E c’è una specifica richiesta sul conto del sacerdote-banchiere Evaldo Biasini, 83 anni, meglio noto ormai come don Bancomat.

Scrivono i magistrati: «E’ stata creata una società nella quale si sono occultati profitti illeciti; essi si sono serviti di consiglieri giuridici e finanziari; familiari e prestanome si sono prestati per occultare fiduciariamente soldi e conti correnti all’estero». E avvertono, invocando le convenzioni europee contro il riciclaggio e la corruzione: gli indagati avevano formato un’associazione a delinquere internazionale a danno dei fondi pubblici, sia quelli dello Stato italiano, sia quelli europei; si sospettano collegamenti con la criminalità organizzata.

Don Evaldo, come si sa, è l’economo della congregazione del Preziosissimo Sangue. Per venti anni ha sovrainteso alle donazioni dei fedeli finalizzate alle missioni in Africa. Il suo conto corrente presso la filiale romana della Banca delle Marche in via Ciamarra (stessa filiale dove ha il conto Anemone, segnala la Guardia di Finanza) è stato messo a disposizione dell’imprenditore che poteva versare e prelevare contanti a suo piacimento, evitando così occhi indiscreti e segnalazioni a Bankitalia. «Era un deposito fiduciario», ha spiegato al primo interrogatorio, con disarmante candore, il sacerdote.

Nell’occasione l’arzillo prete-banchiere ha aperto il suo computer e sciorinato le contabilità, quella ufficiale e quella parallela. E’ venuto fuori che alla data del 31 dicembre 2009, Anemone aveva «parcheggiato» sul conto di don Evaldo, pronti alla bisogna, ben 475mila euro. In cambio, Diego Anemone aveva concesso, bontà sua, che gli interessi maturati, pari a 5.438 euro, andassero «a sostegno dei bambini nell’Africa».

La novità è che la Guardia di Finanza e la Banca d’Italia segnalano due conti (numero 10504789 e 10505589) che sarebbero all’estero e di cui si sono trovati in casa del sacerdote varia documentazione, compresi gli estratto-conto. Puntualmente, ora, il nome di don Evaldo è presente nelle rogatorie indirizzate verso l’estero. E adesso c’è solo da attendere le risposte da quei Paesi per sapere se attraverso quei conti, apparentemente insospettabili, (chi avrebbe mai potuto immaginare qualcosa di losco sul conto corrente dei missionari in Africa?) non siano transitati soldi per destinazioni inconfessabili.

Si fruga a fondo nei computer sequestrati al commercialista Gazzani, intanto, alla ricerca di documentazione utile alle indagini. E’ lì, tra quei files, che potrebbe uscire qualcosa di altrettanto illuminante come la lista Anemone, che era stata sequestrata addirittura nell’ottobre 2008. Appariva inoffensiva, all’inizio. Oggi è considerato un «libro mastro» che potrebbe portare a nuove sorprese. Attorno alla lista, però, è montato un giallo.

E’ rimasta nei cassetti della Finanza per più di un anno; non l’ha mai vista, ad esempio, la pm romana Colaiocco, titolare dell’inchiesta sui Mondiali di Nuoto e in fondo era lei che aveva ordinato la perquisizione negli uffici di Anemone. Anche ai pm di Perugia non è mai stata spiegata, né presentata in forma ragionata. Di qui l’enorme irritazione della procura romana verso la Guardia di Finanza, esternata ieri con nota ufficiale. I magistrati della capitale potrebbero ordinare qualche accertamento.

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