Economia

Aziende italiane ottimiste, 9 su 10 sui livelli pre-Covid nel 2022

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La pandemia causata dal Covid-19 ha lasciato segni evidenti sui bilanci delle aziende: solo il 16% delle aziende italiane ha confermato di non aver avuto impatti dal punto di vista dei ricavi e solo il 7% dal punto di vista della redditività nel 2020. È quanto emerge dall’EY Global Capital Confidence Barometer (CCB23), survey giunta alla 23a edizione, condotta su oltre 2.400 CEO e vertici di aziende, provenienti da ben 52 paesi, che analizza l’impatto che il covid-19 ha avuto e avrà sull’economia globale e a livello locale in Italia

L’outlook però appare moderatamente positivo: il 91% degli intervistati in Italia stima di tornare a livelli di fatturato pre-Covid entro il 2022 e il 67% stima di tornare entro lo stesso anno a livelli di redditività del 2019, mostrando un modesto miglioramento delle aspettative rispetto a quanto registrato nella precedente indagine, a marzo 2020.

Aziende italiane impegnate in un gioco difensivo

Dopo aver affrontato una crisi senza precedenti, l’analisi delle risposte degli intervistati in Italia mostra chiaramente che le aziende in questo momento stanno giocando in difesa, ma con il rischio di sottostimare la reale portata delle trasformazioni indotte o accelerate da Covid-19, specie nell’orizzonte temporale di medio-lungo periodo.

Ad esempio, solo il 14% degli intervistati italiani, contro il 22% di quelli a livello globale, appare concretamente impegnato nella analisi degli impatti a lungo termine sul proprio modello di business e sulla industry di appartenenza; in aggiunta, il 12% degli intervistati domestici, a fronte del 19% a livello globale, sta definendo le aree di investimento necessarie dal punto di vista delle tecnologie a supporto della transizione digitale e, infine, l’8% in Italia contro il 16% a livello globale ha espresso la necessità di investire sulle proprie risorse umane, attraverso specifici processi di formazione.

Per quanto attiene le strategie che le aziende stanno implementando, le risposte degli intervistati italiani confermano questo approccio conservativo. Il 12% degli intervistati in Italia, contro il 17% a livello globale, sta considerando di adottare modelli di pricing innovativi e il 10%, contro il 19% a livello globale, sta attivamente lavorando a strumenti volti a digitalizzare la relazione con i propri clienti.

Inoltre, il 9% degli intervistati in Italia, contro il 16% a livello globale, ha tra i propri obiettivi quello di rivedere la propria supply chain al fine di essere più resiliente in caso di futuri shock e il 9% in Italia, contro il 15% a livello global, sta considerando di investire in settori adiacenti al fine di generare opportunità di crescita e cross selling. Da ultimo si evidenzia che solo l’8% degli intervistati domestici, contro il 16% a livello globale, sta operando al fine di gestire il cash flow per creare liquidità da destinare agli investimenti.

 

Focus principale sulla efficienza operativa e sulla redditività

Lee strategie delle aziende italiane appaiono fortemente indirizzate al recupero in termini di efficienza operativa e redditività. Il 55% degli intervistati in Italia ha confermato di essere impegnato in significativi programmi di trasformazione aziendale, i cui obiettivi principali sono: riduzione dei costi operativi (32%); set up di modelli operativi maggiormente scalabili ed efficienti (21%); set up di modelli operativi maggiormente flessibili (19%); incremento dei ricavi (10%).

Ad ogni modo la crisi legata a Covid-19 ha avuto impatto sulle strategie e sul focus degli investimenti, in quanto oltre la metà degli intervistati italiani ha confermato di avere oggi una maggiore attenzione, rispetto al passato, alle opportunità e implicazioni della trasformazione digitale, al tema del coinvolgimento dei clienti, alla necessità di strutturare relazioni più forti, su principi valoriali, con i propri stakeholders, con la comunità e la società ed, infine, all’innovazione di prodotti e servizi.

Non solo la pandemia tra i rischi che devono fronteggiare le aziende

Tra i rischi che possano impattare le performance di breve medio termine delle aziende, sicuramente spicca quello del non esaurirsi della pandemia da Covid-19. Ma in Italia questo rischio è percepito dal 15% degli intervistati, contro un 29% degli intervistati a livello globale.

Gli altri rischi che sono percepiti come particolarmente rilevanti sono quelli legati al cambiamento climatico (13% degli intervistati), soprattutto in termini di una riconosciuta complessità nel processo di riconversione della supply chain a fonti di energia rinnovabile e materiali meno inquinanti, alla minaccia competitiva da parte di player tech e di nuove tecnologie disruptive (11%), e alle tensioni geopolitiche specie tra Ovest ed Est (9%).

Aziende italiane impegnate nella review delle proprie strategie

Al fine di sostenere la ripresa dei ricavi dopo la performance del 2020, le imprese stanno perseguendo con sempre maggiore focus una strategia di analisi del proprio portafoglio servizi e prodotti, che possa prevedere anche la cessione di asset non core e non performanti. Ma è chiaro ai nostri intervistati come il tema valutativo sia oggi molto complesso e tale da rappresentare un freno all’attività transazionale.

Infatti, solo il 35% degli intervistati in Italia (contro il 49% a livello globale) dichiara di voler perseguire attività di M&A nei prossimi 12 mesi. Anche in questo caso si conferma un atteggiamento conservativo, evidenziato anche dal fatto che oltre la metà degli intervistati (53%, contro il 34% a livello globale) ritiene di focalizzare l’attività di M&A al fine di incrementare le proprie capacità operative, mentre solo il 26% degli intervistati in Italia, contro il 43% a livello globale, ha dichiarato di voler perseguire l’acquisizione di competitors al fine di incrementare la propria quota di mercato.

È comunque da segnalare che il contesto di pandemia globale ha costretto la maggioranza delle imprese italiane (il 71% degli intervistati) a modificare i propri piani di investimento previsti nei prossimi dodici mesi. Di questi, oltre la metà (56%) ha posticipato gli investimenti pianificati, mentre più di un terzo (pari al 44%) ha interrotto del tutto il piano di sviluppo pianificato, in attesa di un orizzonte più chiaro.