Società

ALERT: CHI SCOMMETTE SUL DEFAULT DELL’ITALIA?

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news
Questo articolo viene pubblicato per gentile concessione de Il Sole 24 Ore. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Il debito crescente porterà alla spaccatura dell’eurozona? John Plender, opinionista del Financial Times, osserva che la stabilità dell’eurozona è ancora una volta in questione, mentre c’è chi scommette «pesantemente» sul default dell’Italia e i rendimenti sul titoli del debito pubblico di paesi periferici come la Grecia si allontanano ulteriormente dal benchmark tedesco. Vuol dire che i “fondamentali” si stanno deteriorando?

Le stime di deficit dei paesi Ue – nota il Ft – sono triplicate dal 2,8% del 2008 al 6,9% di quest’anno; per il 2010 la stima è del 7,5%. La solidarietà Ue sarà messa alla prova, prevede il Financial Times. Aumenta la preoccupazione per le conseguenze degli squilibri finanziari tra la Germania e altri paesi del Nord europeo, che hanno surplus finanziari, e i paesi con ampi deficit, in gran parte del Sud. «L’unione monetaria ha protetto i paesi deboli dell’eurozona dalle crisi valutarie, ma da quando c’è il “credit crunch” questi deficit sono diventati più difficili da finanziare».

Se nell’Europa del Sud il deficit corrente e il debito diventassero insostenibili, le banche tedesche che hanno finanziato i deficit potrebbero avere bisogno di essere soccorse, avverte Plender. In alternativa, per impedire ai paesi debitori di fare default, potrebbero cercare di risolvere il pasticcio fiscale facendo ricorso a una clausola del trattato di Maastricht che permette il sostegno finanziario a paesi dell’eurozona in difficoltà per fattori al di fuori del loro controllo. Un intervento del genere si avvicina per la Grecia. E «ci sono seri dubbi su come i paesi con deficit possono restaurare la loro competitività per aiutare a ridurre gli squilibri».

In Italia, Spagna e Grecia, stando a quanto ha stimato Goldman Sachs, il tasso di cambio reale dovrebbe scendere del 30% per ripristinare l’equilibrio. «Ma poiché la svalutazione non è un’opzione, l’aggiustamento deve avvenire attraverso mercati del lavoro inflessibili. La sgradevole questione è a quale livello di disoccupazione sarà restaurata la competitività». Ci sono aggiustamenti in atto, ma «il consumatore tedesco dovrà fare di più per sostenere i paesi con deficit. Questo non può essere dato per scontato».

L’ipotesi che l’Italia o la Germania decidano di lasciare il club non appare plausibile, secondo l’opinionista, perché «la prospettiva di svalutazione provocherebbe un prosciugamento di denaro dal sistema bancario, mentre il valore del debito e il costo del servizio del debito aumenterebbero». «Per i politici è molto più facile – continua – subappaltare la politica fiscale alla Commissione europea e dire all’elettorato che i conseguenti dolori sono colpa dei cattivi tedeschi».

I paesi con surplus di bilancio, secondo Plender, hanno più incentivi a lasciare l’eurozona, se i paesi deboli portano giù il valore dell’euro. «Ma la storia insegna che è sempre pericoloso sottovalutare l’impegno politico per l’unione monetaria».

Fino a quando, però, i contribuenti tedeschi, e non solo, sono disposti a sborsare per gli «spendaccioni» paesi del Sud? L’aggiustamento degli squilibri europei – continua il Ft – sarà lento e comporterà effetti negativi per la crescita dell’eurozona, a meno che i consumatori dell’Europa del Nord non facilitino il processo. Conclusione: i consumatori del Nord, tedeschi per primi, devono spendere, è nel loro interesse.

Copyright © Il Sole 24 Ore. All rights reserved