I ribelli anti governativi yemeniti hanno lanciato il missile più potente mai lanciato prima d’oggi contro una centrale nucleare in costruzione ad Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti. Pur avendo mancato il bersaglio, l’operazione degli Houthi sta esacerbando le tensioni in una regione che da anni è teatro di uno scontro civile che ha assunto i connotati di una guerra internazionale per procura tra sunniti e sciiti. Si tratta del terzo lancio di missile da parte dei ribelli filo iraniani, con i due precedenti episodi che hanno preso di mira l’Arabia Saudita.
Tra l’agosto del 2014 e l’ottobre dell’anno scorso si calcola che 10mila persone abbiano perso la vita nella guerra in Yemen, uno stato fondamentale per i sauditi ossessionati dalla “minaccia sciita” nella regione. Lo Yemen è insieme alla stessa Arabia Saudita il paese più popolato della penisola araba. Dal 2015 più di ottomila yemeniti hanno perso la vita e in 50mila sono rimasti feriti nei bombardamenti delle forze aree della coalizione a guida saudita.
La Lega degli Stati arabi ha chiesto che gli Houthi, le cui capacità militari stanno crescendo grazie agli aiuti dell’Iran, vengano riconosciuti come gruppo terrorista. L’anno scorso la tribù dei ribelli sciiti ha lanciato diversi missili balistici contro l’Arabia Saudita. Le Forze della Difesa Aerea del Regno saudita hanno intercettato missili diretti nella città meridionale di Jizan il 17 e 20 marzo di quest’anno e il 28 marzo hanno intercettato altri quattro missili partiti dallo Yemen in direzione della città di Khamis Mushayt e Abha.
A luglio di quest’anno gli Houthi hanno pubblicato un video del lancio di uno dei loro missile Burkan-2 (vulcano 2), che aveva come bersaglio l’impianto di raffinazione petrolifera saudita di Yanbu. Il missile ha percorso 930 chilometri, la distanza più lunga di sempre nei test balistici degli Houthi. Secondo gli aggressori, l’obiettivo è stato centrato, ma le autorità saudite hanno fatto sapere che la raffineria di Saudi Aramco SAMREF) di Yanbu è rimasta operativa nonostante lo scoppio di un incendio che ha coinvolto il generatore di corrente del cancello di ingresso dello stabilimento.
Qualche giorno fa l’ex presidente dello Yemen Ali Abdullah Saleh è stato ucciso dalle forze ribelli filo iraniane, che hanno anche conquistato la capitale del paese Sanaa. Saleh, che a lungo era stato l’uomo dei sauditi in Yemen, aveva deciso di cambiare schieramento nel 2012 dopo essere stato rimpiazzato. Forte dell’appoggio di una parte del copro militare, ha stretto un’alleanza con i potenti Houthi della zona settentrionale e assunto il controllo di gran parte del paese.
A dicembre, invocando ragioni umanitarie, Saleh ha tentato di fare un doppio gioco, approfittando della posizione di debolezza del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, il quale deve fare i conti in patria con le polemiche per i costi economici e in termini di immagine e reputazione della guerra che l’Arabia Saudita sta conducendo nel paese vicino.
Proponendo l’interruzione dell’assedio saudita, Saleh voleva tranquilizzare gli yemeniti, che non vedono di buon occhio i sauditi, ma in realtà il vero obiettivo della sua strategia politica era quello di liberare lo Yemen dalle milizie leali all’Iran. L’ex presidente ha pagato il tradimento con la vita. La Lega degli Stati arabi ha avvertito che l’omicidio di Saleh potrebbe far sprofondare lo Yemen nel caos più totale.